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"Venturi e Ulisse"

12/02/2009

"Venturi e Ulisse"

Laurana Lajolo - Convegno di Ovada 26 giugno 2009

Dopo un breve periodo all’Unità di Genova, Venturi viene chiamato all’Unità di Milano da Fidia Gambetti responsabile degli Interni, che lo apprezza come scrittore. Venturi è scrittore più che giornalista, si  isèira al neorealismo ha già pubblicato dei racconti partigiani su riviste.
Nello stesso periodo arriva a Milano da Torino, dove è stato caporedattore dell’Unità piemontese dal 1945 al 1947, anche  Davide Lajolo per  sostituire Renato Mieli alla direzione dell’Unità di Milano. Lajolo mantiene il nome da partigiano Ulisse per firmare i suoi corsivi quotidiani e così viene abitualmente chiamato dagli amici e dai compagni.

Venturi e Lajolo si sono già conosciuti per lettera 1: Ulisse ha chiesto  a Venturi dei racconti da pubblicare sull’edizione torinese. Nonostante il giornale, subito dopo la Liberazione, sia soltanto di  due pagine per mancanza di carta, Ulisse trova lo spazio per la letteratura. E dalla comune passione culturale prende inizio un’amicizia, che diventa legame di affinità e anche di complicità nel trasgredire alla burocrazia e all’ortodossia ideologica del partito.
All’inizio nella redazione milanese Venturi lavora agli Interni, ma trova quel lavoro noioso, da passacarte, ed è felice quando Ulisse, diventato direttore, lo chiama alla terza pagina e ne fa  il fiore all’occhiello del giornalismo italiano.  Lajolo scrive nel suo diario:  “E’ uno di quelli sui quali faccio più affidamento, oltre ad essermi molto affezionato. Ha un viso da ragazzo con gli occhi celesti (…). Ha radici sane e il culto del padre ferroviere”2.

Molti giornalisti dell’Unità provengono dalla Resistenza, sono ragazzi, che devono “imparare l’abicì del giornalismo” 3, come quel Gianni Rodari, ex maestrino della Lomellina che inventa filastrocche e che Venturi descrive così: “Aveva qualcosa del passerotto dalle piume scaruffate, assomigliava alle sue filastrocche. Era una filastrocca anche lui” 4.
Quei ragazzi, che si definiscono rivoluzionari di professione, imparano il giornalismo sul campo e nell’ufficio del direttore, dopo l’uscita della prima edizione e in attesa della ribattuta delle altre edizioni, si scambiano le impressioni a caldo sulle pagine appena stampate per poi allargarsi ai momenti nodali delle loro esistenze: il fascismo, la guerra, la Resistenza.
E’ il momento in cui “la rocciosità piemontese di Ulisse”, come la definisce Venturi, si scioglie, il direttore si rivela amico dei suoi giornalisti e dei suoi tipografi.
Venturi definisce Ulisse un lavoratore instancabile ed entusiasta, un direttore esigente, ma pronto a valorizzare i meritevoli, che richiede la collaborazione e  l’apporto di idee in un modo coinvolgente.
Il giornale diventa una grande famiglia con la possibilità di esprimere giudizi dissenzienti anche con venature dissacranti, liberi da ogni obbligo d’ossequio.
Un’opportunità positiva per Venturi, che è insofferente della disciplina di partito che prevarica la sua ricerca della verità, e che resiste all’Unità e nel Pci proprio perché è in certo senso “protetto” da due ex-fascisti, da Fidia Gambetti e dal direttore, entrambi scottati sulla loro pelle dalla fiducia cieca nell’ideologia e nel capo.

La simpatia tra Lajolo e Venturi, oltre che per gli interessi letterari, si consolida, infatti, nella comune insofferenza per il dogmatismo. Sono  entrambi digiuni di testi ideologici e non ne sentono la mancanza. Ulisse protegge i suoi collaboratori dalle critiche dei funzionari della Federazione, che sono convinti che quegli intellettuali debbano essere rieducati, anche se la sua posizione nel partito è di difficile equilibrio diviso tra il suo modo di essere grintoso ed irruente e la responsabilità politica. 
Venturi racconta di noiose riunioni politiche con l’introduzione del funzionario di partito e al seminario interno di formazione chiede di far parte del gruppo affidato ad Ulisse, di cui conosce la debole vocazione all’insegnamento ideologico. Infatti, dopo aver distribuito un opuscolo di Stalin “Breve corso di storia del P.C.”, il direttore dice che ciascuno lo legga per conto suo e non fa più nessuna riunione per  discuterne il contenuto.
Del resto, già a Torino Lajolo è stato criticato e contrastato dai sostenitori dell’ortodossia comunista per la sua scarsa preparazione marxista.
Alle discussioni ideologiche Lajolo preferisce frequentare con Venturi la Libreria Einaudi di via Manzoni, dove può incontrare letterati, poeti e intellettuali milanesi. Quello è un appuntamento fisso a fine pomeriggio, prima di ritornare in redazione a chiudere il giornale.

Ritenuto dall’apparato di partito troppo disinvolto, Ulisse è controllato all’interno del giornale dal redattore capo, di volta in volta inviato da Roma, e periodicamente deve giustificare alla direzione del partito il perché di certe posizioni dell’edizione milanese divergenti rispetto a quella romana diretta da Pietro Ingrao e, in particolare la scelta di far scrivere sulla terza pagina scrittori che non sono iscritti al partito. Venturi, infatti, sceglie di dare spazio a Quasimodo e a Ortese piuttosto che a Lucio Lombardo Radice.
E sempre controcorrente, nel momento di incomunicabilità totale tra partito e Chiesa, dopo la scomunica vaticana ai comunisti, il direttore apre le colonne de “L’Unità” al dialogo con don Primo Mazzolari, parroco di Bozzolo, che è direttore della rivista “Adesso”, chiusa nel 1951 dall’autorità religiosa.
Lajolo vuole misurarsi con “Il corriere della sera” più che con “l’Unità” di Roma e fa del quotidiano comunista un giornale popolare di larghissima diffusione con la terza pagina, appunto, con le pagine settimanali della donna e dei ragazzi, con lo sport e la cronaca.
Non vuole che il giornale sia scritto con il linguaggio del politichese ma piuttosto con quello semplice più naturale e comprensibile per tutti 5.
E lui stesso, come ricorda Venturi, è un narratore  fascinoso, che sa rendere con pathos epico, anche lavorando di immaginazione, gli avvenimenti vissuti, drammatici o comici che siano,  dalla guerra di Spagna alla Resistenza. La sua aspirazione è scrivere e quando ci prova con una storia di mondine, con umiltà si rivolge a Venturi come suo lettore e maestro, riconoscendogli una cultura letteraria e una capacità di scrittura superiore alla sua.

L’amicizia tra Venturi e Lajolo è scandita, dunque, dall’esperienza giornalistica calata nel complesso scenario dei grandi avvenimenti storici degli anni Quaranta e Cinquanta, dalla Resistenza alla guerra fredda, e nel groviglio di dissidi interni ai partiti comunisti, da Tito alla rivolta d’Ungheria.
La scomunica staliniana di Tito coglie di sorpresa non solo i redattori, ma anche il direttore, il quale è solito buttare nel cestino, senza leggerle, le note quotidiane provenienti dal Cominform dell’URSS che una zelante redattrice filosovietica gli fa trovare sulla scrivania.
Si apre un’accesa  discussione nella riunione di cellula dei giornalisti e dei tipografi. Questi ultimi, fedeli all’URSS, accettano senza discutere che Tito sia diventato un servo dell’imperialismo americano, mentre Venturi è molto critico.
Come segno tangibile della scomunica dall’ufficio del caporedattore, “sdraiato sulla linea”, viene tolto subito il ritratto del capo della Jugoslavia.
I dubbi di Venturi sulla linea staliniana sono condivisi dal direttore, che è costretto dalla sua responsabilità politica a reagire allo sconforto personale e tenta di convincere Venturi ad accettare la disciplina di partito: “Bisogna stringere i denti”,gli dice, “la vita è fatta di alti e bassi” 6 . E Ulisse, per la sua contraddittoria esperienza di vita, di queste cose se ne intende.
Siamo nel pieno della guerra fredda e prevale in lui il senso di difendere l’unità del movimento operaio internazionale, ma Ulisse comprende il disagio personale e la crisi politica di Marcello e rafforza la sua amicizia.
Porta spesso con sé Marcello nei suoi viaggi per andare a fare comizi o alle feste dell’Unità, vuole distrarlo dalle  tristi considerazioni che lo stanno macerando.
Accresce anche la confidenza con lui raccontandogli i suoi sentimenti di contadino inurbato, che sente la nostalgia dei profumi e dei suoni della campagna, e le contraddizioni umane e politiche che hanno costellato la sua esistenza tra fascismo e comunismo.
Io sono convinta che Marcello per Lajolo è stato il figlio maschio che avrebbe voluto avere.  

Ma quella grande amicizia, quel rapporto quasi tra padre a figlio si interrompe bruscamente con i fatti d’Ungheria.
Il rapporto di Kruscev al XX Congresso del PCUS del marzo 1956 con la denuncia dei delitti di Stalin rappresenta per i militanti comunisti il crollo di un mondo. Nell’ufficio del direttore, tra lo sconforto di molti, viene levata la gigantografia di Stalin.
Come per Tito la sostituzione dei ritratti segna le svolte ideologiche.
In redazione si vivono momenti di grande tensione in attesa di notizie che tardano ad arrivare dal corrispondente da Mosca. Alcuni dirigenti italiani si schierano apertamente contro Kruscev, mentre tra i redattori si alimenta la speranza del disgelo e della ventata di libertà nei paesi dell’Est.
Ma ben presto Venturi vede vanificate le speranze di rinnovamento, anche se Ulisse lo invita a “tenere duro” perché qualcosa deve capitare.
Ogni notte, alle tre, quando sono ormai chiuse le edizioni del giornale, i redattori sono accompagnati a casa in pulmino per ragioni di sicurezza, ma all’Arco della pace Ulisse e Marcello continuano a piedi, da soli, per parlare in tutta libertà dei casi personali, delle comuni origini di paese, dei  progetti futuri.
Venturi ricorda: “Ulisse camminava al mio fianco col passo lento e pesante del contadino delle Langhe o di chi ha combattuto tante battaglie – vinte o perdute, giuste o sbagliate che fossero, come le mie – e che finalmente si ritrovava stanco, e con la voglia di tornare a casa. Ma lui non poteva arrendersi, si giustificava. Lui avrebbe tenuto duro fintantoché là, da Roma – questione di mesi ne era certo – non lo avessero costretto a lasciare.
E io? Chiedeva. Io non potevo attendere fino a quel giorno? Ce ne saremmo andati insieme” 7 .

Appena arrivano le notizie della rivolta di Budapest i redattori si riuniscono con il direttore. La discussione è concitata e dura. Inizialmente si spera in un episodio isolato, ma il dramma diventa sempre più evidente man mano che arrivano gli articoli dei corrispondenti.
Venturi ne discute con altri intellettuali alla Libreria Einaudi e il suo atteggiamento suscita i sospetti dei funzionari della Federazione comunista, che informano Ulisse che vicino a lui c’è una spia.
Di fronte agli studenti che manifestano contro l’Urss e convergono in piazza Cavour davanti alla sede del giornale al grido di assassini, le reazioni dei redattori sono contraddittorie e angosciate. “Quello che capitava a Budapest pesava più su di noi che su di loro” 8 , commenta Venturi.
Insieme ad altri intellettuali, tra cui Giangiacomo Feltrinelli e Rossana Rossanda, Venturi chiede un incontro con il direttore per esporre il proprio dissenso, minacciando anche di consegnare un comunicato all’agenzia Ansa. La discussione si inasprisce e Ulisse cerca di prendere tempo, facendo rinchiudere nella sala riunioni il gruppo dei dissidenti.
Il comunicato non esce, ma lo strappo è ormai avvenuto. Venturi straccia la tessera del Pci e poco dopo lascia il giornale e va a lavorare alla casa editrice Feltrinelli.

Anche Ulisse è travagliato da contraddizioni molto forti, diviso tra il ruolo di direttore e la sua intima esigenza di verità. Annota nel diario che prova vergogna per la buona fede sua e di molti compagni che li ha condotti a una forma di  idolatria, ma fa il giornale secondo le indicazioni della direzione nazionale, nonostante il suo dissenso rispetto alle posizioni assunte da Togliatti.
L’autocritica la lascia alla solitudine della sua coscienza e non alle parole scritte sul giornale.
Del resto, Lajolo ha già una volta affrontato una crisi di profonda trasformazione del suo credo politico, scegliendo, lui fascista, di diventare partigiano. Una decisione travagliata e difficile, che gli viene rinfacciata a lungo dagli avversari ma anche dai compagni di partito, tanto che nel 1963 prende il coraggio di scrivere la sua testimonianza a confronto con quella di Francesco Scotti, comunista e antifascista coerente, utilizzando come titolo del libro l’accusa che gli viene fatta di essere un voltagabbana 9 .
Difficile per lui in quel momento fare una scelta che lo metta fuori dal suo partito, anche se le riserve sulla sua adesione alla linea politica ufficiale aumentano. Dall’apparato di partito gli viene, infatti, rimproverato di non aver saputo incanalare il dissenso dei suoi redattori, in particolare di quello più bravo, dell’intellettuale che fa la terza pagina con i migliori scrittori del momento.
E nell’arco di un anno anche Lajolo viene sostituito alla direzione dell’Unità.

Le dimissioni di Marcello sono una rottura tragica tra “padre” e “figlio”. Ulisse  si sente tradito sul piano umano più che su quello politico, come se Marcello non avesse compreso il suo travaglio interiore. Si sente più solo, giudicato nelle sue contraddizioni e ne soffre molto. Anche Marcello è preso dalla pena di una decisione irrinunciabile.
Solo più avanti, dopo la primavera di Praga soffocata dai carri armati sovietici, Lajolo, allora deputato, manifesta pubblicamente le sue posizioni critiche e inizia una lunga battaglia per il socialismo dal volto umano prima politica all’interno del partito e poi giornalistica sulle colonne del settimanale “Giorni Vie Nuove”, di cui diventa direttore nel 1969. 
Nel 1971 pubblica un’intervista a Smrkovshy, presidente della Repubblica al tempo di Dubcek, e nel 1975 il testamento politico, in cui Smrkovshy rivela la verità sui rapporti tra Praga e Mosca e le modalità della repressione.
Il caso fa scalpore e Lajolo deve  affrontare le dure reazioni non solo dei dirigenti del partito, ma dei lettori del settimanale, indignati e increduli.
Quella battaglia lo porta ad essere emarginato dagli organismi dirigenti del suo partito e, qualche tempo dopo, per mancanza di finanziamenti è costretto  a chiudere il settimanale.

I contatti tra Lajolo e Venturi si ristabiliscono in occasione della giuria del Premio Acqui storia e nessuno dei due ritorna sui motivi  del distacco.
Dopo il funerale di Ulisse, Venturi scrive: “Mi sembrò di partecipare al funerale non di un uomo soltanto, non di un amico soltanto: ma di un’epoca, di un pezzo di storia, In qualche modo anche di me” 10, riconoscendo che Davide Lajolo è stato un personaggio emblematico delle contraddizioni e delle passioni di un’intera generazione.
Sciolto il nodo doloroso per quella cesura umana e politica del 1956, dopo la morte di Lajolo Venturi ricorda l’amico con affetto e ne traccia il ritratto più vero della sua umanità e delle sue capacità professionali. Delinea con finezza psicologica e simpatia la vena di una profonda nostalgia contadina, che sottende al carattere grintoso del direttore di un giornale di battaglia, che “ha mantenuto il fiuto del contadino, la capacità di orientamento, la ostinatezza delle proprie convinzioni. Un direttore che ha conservato nello stile di lavoro (oltre al suo nome di partigiano Ulisse) le caratteristiche della guerra partigiana,  di attacco senza compromessi o indugi, talvolta impetuoso sino alla temerarietà 11”, eppure disponibile al dialogo non solo polemico, ma costruttivo con gli avversari.
Nel tempo l’amicizia ha vinto sulle scelte diverse e Venturi ha trovato il modo, attraverso la scrittura (la loro “comune passione”), di riconciliarsi con il “padre”.


 
1 Cfr. M. Venturi, Passione e mestiere di giornalista, in Davide Lajolo poesia e politica, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 1990, p. 45-53
2 D. Lajolo, 24 anni, Rizzoli, Milano, p. 148-149.
3 M. Venturi, Sdraiati sulla linea, Mondatori, Milano, 1991, p. 76.
4
Ivi, p. 173
5
Cfr. M. Venturi, Il direttore Ulisse, un amico, in (a cura di L. Lajolo) I filari del mondo. Davide Lajolo: politica, giornalismo, letteratura, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2005, p. 91-97.
6
M. Venturi, Sdraiati sulla linea, cit.,  p.122,
7
Ivi, p. 236.
8
Ivi, p. 227.
9
D. Lajolo, Il Voltagabbana, Il Saggiatore, Milano, 1963
10
Ivi, p. 423.
11
Cfr. (a cura di C. Testa)  Ricordando Ulisse. Conversazione con Marcello Venturi, Soged editrice, Alessandria, 1989, P. 16.