26/10/2022
FENOGLIO Un guerriero di Cromwell sulle colline della Langhe
Introduzione di Laurana Lajolo
Nel centenario della nascita di Beppe Fenoglio esce la nuova edizione della biografia di Davide Lajolo FENOGLIO Un guerriero di Cromwell sulle colline delle Langhe, (1978).
Questa biografia è stata la prima ricostruzione del profilo della vita e dell’ispirazione letteraria di Fenoglio, costruita attraverso conversazioni con i familiari e gli amici. Nel suo lavoro Davide Lajolo ha raccolto giudizi contrastanti su Beppe, talvolta opposti, ma tutti necessari a delinearne la vera fisionomia Accanto alle testimonianze inedite l’autore ha condotto una lettura attenta e acuta dei romanzi e dei racconti, che rivelano nei personaggi la personalità dello scrittore
Dopo l’apprezzata storia dell’amico Cesare Pavese Il vizio assurdo (1960, tradotta in varie lingue), Lajolo, ha voluto presentare, con lo stesso metodo di incrocio tra “vita” e “opere”, lo scrittore di Alba nel suo mondo e nella sua interezza umana.
La biografia ha la struttura del romanzo, con una prosa spigolosa, viscerale e sanguigna, che attraversa i grandi temi della narrativa di Fenoglio: la sua città, la Resistenza e le Langhe aspre, rivissute nel suo volto magro. Per Lajolo Alba sta a Fenoglio in un rapporto analogo a quello con la madre, fatto di amore e scatti irrefrenabili, mentre le Langhe sono il padre con la dinastia dei Fenoglio, da cui lo scrittore è orgoglioso di discendere.
Beppe Fenoglio reinventa narrativamente il suo vissuto e quello della sua generazione nella storia di Johnny, intessuta di parole inglesi, che si alleano, in un’originale ricerca linguistica, a quelle scavate nel cuore delle radici ancestrali della sua terra. Beppe adolescente si è appassionato allo studio della letteratura anglosassone del periodo elisabettiano con la prof. Marchiaro (da qui il soprannome Johnny datogli dai suoi compagni di Liceo) e ne ha tratto il modello del guerriero di Cromwell per compiere la sua scelta morale di combattere i fascisti.
La Resistenza di Johnny-Fenoglio è, infatti, il suo romanzo di formazione e assume la dimensione letteraria di una storia passionale di libertà, ispirata dall’insegnamento etico-politico ricevuto negli anni del liceo dai due professori Pietro Chiodi e Leonardo Cocito, che diventano poi partigiani garibaldini.
Fenoglio sceglie, invece, di combattere nella II Divisione Langhe degli Autonomi, fedeli al giuramento al re e allo Stato monarchico, che mantengono in formazione le norme dell’esercito.
Lajolo, il comandante garibaldino “Ulisse” che ha combattuto la Resistenza sulle colline del Monferrato, ricorda nella biografia, anche le perplessità suscitate in lui e in altri partigiani all’uscita nel 1922 de I ventitre giorni della città di Alba. In quel tempo di guerra fredda e di contrapposizione ideologica, in cui i partigiani venivano emarginati e anche processati, gli sembrò che Fenoglio non tenesse conto della grande partecipazione popolare alla guerra di liberazione e dei valori per cui si era combattuta la Resistenza. Ma quando uscì nel 1968 Il partigiano Johnny da Einaudi, Lajolo riconobbe le doti originali della scrittura di Fenoglio nel ritmo del racconto e nell’intima corrispondenza tra parola e contenuto del suo linguaggio “misterioso”, quasi che lo scrittore volesse richiedere al suo lettore un atto di volontà per capirlo.
Fenoglio non si allontana da Alba, dove lavora in una ditta vinicola, e vive isolato dal mondo letterario, esercitando, con tenacia, la fatica dello scrivere, come dimostrano le continue revisioni dei testi. Segno dei suoi ripensamenti e delle sue insicurezze è la pubblicazione di Primavera di bellezza (Garzanti, 1959), che rivela il lavorio complicato e faticoso, come evidenzia la fitta corrispondenza con l’editore, di estrapolare un romanzo autonomo dalle note e dagli appunti.
Nello stile fenogliano teso al tragico, Lajolo riscontra le influenze dei grandi della letteratura europea a cominciare da Shakespeare e Dostoevskij, che mettono allo scoperto l’eterno dramma umano, e anche quelle del Vittorio Alfieri e dell’esempio di romanzo storico di Ippolito Nievo.
Elio Vittorini, scrivendo la presentazione della prima raccolta di racconti pubblicata da Einaudi I ventitre giorni della città di Alba, definisce Beppe Fenoglio scrittore “barbaro” ed esprime il timore che il giovane autore rimanga troppo legato alla cultura della sua terra, ma per Lajolo proprio La malora (1954), con la descrizione della gente di Langa, è la sua opera più alta, come hanno riconosciuto alcuni importanti critici.
Nella biografia viene dedicato, infatti, ampio spazio ai racconti di Langa e alla saga dei Fenoglio, dimostrando come l’ispirazione dello scrittore e la sostanza dell’uomo siano da rintracciare nella parte profonda delle radici degli antenati, a cui Beppe attinge per raccontare le sue storie.
Lajolo propone, inoltre, un confronto molto interessante tra Beppe Fenoglio, Guido Gozzano, su cui ha abbozzato un saggio rimasto inedito, e Cesare Pavese, l’amico di cui ha scritto la biografia a dieci anni dalla morte. Partendo dalla loro appartenenza al Piemonte, collega alla terra d’origine le diverse ispirazioni letterarie e poetiche che li caratterizzano senza provincialismi poiché tutti e tre si rifanno a vasti orizzonti culturali. C’è in Fenoglio, registra Lajolo, l’individualismo borghese e insieme l’autosufficiente eroismo e il senso tragico della vita, ma non il naturalismo provinciale.
Nella volontà di Fenoglio di evitare le insidie della cronaca e del calco naturalistico dei fatti storici privilegiando la rielaborazione fantasiosadella sua vicenda personale, Lajolo rintraccia la vocazione al romanzo epico e fa un riferimento all’epopea di Guerra e pace.
La biografia si chiude con il rimando all’incubo costante per Beppe della morte come conseguenza inevitabile della guerra civile. In molti episodi i protagonisti, come Milton e Johnny, vengono descritti in fuga, braccati, ma non si capisce se la fuga sia “dalla” morte o “verso” la morte.
Attraverso le intense testimonianze della moglie, della madre e di alcuni amici, Lajolo descrive come Beppe, stroncato dal tumore alla laringe a 41 anni, sia andato dignitosamente incontro alla sua morte. Fenoglio volle sulla sua lapide la dicitura: partigiano e scrittore, la sintesi non retorica della sua vita.
(2022)