17/02/2021
Io e il PCI
Narrazioni - di Laurana Lajolo
Nell’ultimo mese, in occasione del centesimo anniversario della fondazione del PCI, sono usciti libri, testimonianze e commenti sulla storia del partito comunista e sul suo ruolo nella storia italiana, che mi hanno fatto ripensare alla mia esperienza politica. Che cosa è rimasto nel mio modo di pensare e di agire? Certamente l’attenzione per quello che accade nel mondo, per i movimenti di liberazione e le guerre, per le battaglie per i diritti, per i cambiamenti in atto e prevedibili.
Nelle riunioni di partito, dopo una relazione strutturata di un compagno dell’organizzazione regionale c’era l’abitudine di inquadrare le situazioni provinciali e nazionali in un contesto internazionale e così, anche se si viveva e si lavorava in una piccola provincia, ci sentivamo introdotti nella grande storia e ragionavamo come interpretare e “mettere a posto il mondo”.
Nella discussione c’era uno scambio vivace di opinioni e di valutazioni con differenze evidenti a seconda della propria condizione lavorativa e sociale. Io ho imparato molto dai compagni operai, ferrovieri, ambulanti e contadini e forse ho anche dato loro qualche cognizione culturale. Vivevamo uno scambio (non semplicemente di ascolto reciproco), ma proprio di confluenza o divergenza tra punti di osservazioni e visioni ideologiche. Per me era un esercizio salutare di realismo e di politica pensata e agita.
Il partito era luogo di amicizie, di incontri anche conviviali, di progetti collettivi, che si sono frantumati anch’essi con la fine dell’organizzazione. E’ stata una scuola di solidarietà politica, non assistenziale, che passava attraverso riflessioni, analisi e azioni condotte insieme.
L’impegno nell’amministrazione comunale di Asti è stato per me fondamentale: ho potuto realizzare dei progetti, nati anche da elaborazioni costruite in precedenza con alcuni compagni, mentre altri mi hanno aiutata con rilievi critici che emergevano in fabbrica, nei quartieri, in ambienti sociali e culturali. Essere assessore ha voluto dire conoscere la città nelle sue criticità e opportunità, offrire proposte provenienti dall’esterno, veder crescere professionalità dei collaboratori, sviluppare occasioni sociali e culturali, coinvolgere energie giovani, promuovere esperienze didattiche con esperti, insegnanti e studenti. E’ stato dunque un lavoro complesso e arricchente anche per i metri di giudizio che ho dovuto imparare a usare. Soprattutto ho imparato a misurare le mie aspirazioni a confronto con le esigenze sociali, di cui ho cercato di prendermi cura, a valutare le componenti dei successi e degli insuccessi. Ho aperto le porte della città a influenze e realtà esterne perché io stessa avevo bisogno di confronti allargati, di stimoli interessanti e nuovi.
La partecipazione alla vita del PCI è stata, dunque, per me un’esperienza formativa importante e complessiva con fasi positive e negative, come avviene in ogni processo culturale e politico. Quando l’esperienza si è conclusa nel 1991, ho dovuto ricercare altri contatti, altre forme di aggregazione e di elaborazione, ma ho mantenuto il metodo di leggere politicamente i fatti, di voler incidere con atti concreti, di sapere riprendere il cammino quando la strada battuta sembra interrompersi.