21/11/2022
L’utopia vissuta - Ricordo di Oddino Bo
Di Laurana Lajolo
21.11.2015
Non amiamo, /come vogliono i ricchi, / la miseria. / Noi la estirperemo come dente maligno, / che finora ha morso il cuore dell’uomo. In questi versi di Pablo Neruda, che sono l’epigrafe del libro L’utopia vissuta ho ritrovato il senso della vita e dell’impegno politico di Oddino Bo: la sua generosità umana e la sua profonda convinzione etica e politica che si doveva lottare per l’emancipazione dei lavoratori. Nel suo libro autobiografico volle ricordare tutti i compagni con cui aveva lavorato: operai, contadini, artigiani e intellettuali, perché Bo credeva fermamente al valore dell’impegno collettivo al di là di ogni forma di individualismo e di ambizioni personali.
Intendo questo mio contributo come atto di riconoscenza verso di lui, che mi ha insegnato, insieme ad altri compagni, che non si deve monetizzare l’impegno politico e civile e che bisogna attendere come unica ricompensa la consapevolezza e il senso di responsabilità di sostenere una causa giusta. Molti di noi hanno assistito spesso alle sconfitte di cause giuste, ma altrettanto spesso quelle sconfitte si sono rivelate anticipatrici di nuovi eventi nella direzione giusta.
Dedico questo contributo a Stella e a Gianfranco, secondo la dedica che fece lo stesso Bo nella sua autobiografia. E mi piace qui ricordare ancora la gioia di Oddino per il matrimonio con Stella giovane e bella, la sua commozione per la nascita di Gianfranco, l’orgoglio di padre per il figlio brillante e intelligente, con cui discuteva di problemi politici ed economici, e l’insegnamento dei valori della vita ai nipoti.
Il destino nel nome
Oddino Bo ebbe il destino segnato dal nome che suo padre contadino, allora sindaco di Maranzana, scelse per lui nel 1922, quello del dirigente socialista Oddino Morgari, deputato e direttore del “Sempre Avanti!” di Torino. Il padre fu prima socialista e poi comunista, quindi naturalmente antifascista, la madre, convinta cattolica, trasmise al figlio una morale rigorosa. Questa fu la prima educazione di Oddino. Pre se il diploma magistrale, ma il suo orgoglio era quello di provenire da una famiglia contadina e si portò sempre dentro il paesaggio agrario con i suoi boschi e le sue vigne. Era convinto che a salvare l’ambiente dovesse essere l’agricoltura.
La guerra.
A 19 anni scoprì “Il Capitale” di Marx e cominciò a diffondere le notizie che ricavava da Radio Londra e poi da Radio Mosca. Non poté proseguire gli studi universitari perché all’inizio del ’43 fu arruolato come mitragliere e inviato a Grottaglie vicino a Taranto. Dopo l’8 settembre rimase confinato al Sud e con il suo battaglione di allievi ufficiali combatté con l’esercito italiano. In seguito in molte circostanze espresse la convinzione che dovesse essere riconosciuto l’apporto alla Liberazione dell’Italia dell’esercito regolare cobelligerante con gli Alleati.
Il militante del PCI
Ritornato al paese cominciò la sua attività politica con le prime elezioni del 1946. Lo scontro con la Democrazia cristiana era duro e anche il Partito dei contadini era un oppositore convinto del comunismo. L’esito delle elezioni fu deludente e la provincia di Asti da quel momento diventò per il PCI una “zona bianca” come Cuneo. Fu in quella situazione politica difficile che Bo diventò funzionario del PCI addetto all’Ufficio Stampa e propaganda con l’incarico di corrispondente de “L’Unità” e la responsabilità del settimanale “Il Lavoro” con Valerio Miroglio, un giornale per divulgare la linea del partito, ma anche per interloquire con gli altri settimanali di matrice cattolica e liberale, spesso attraverso aspre polemiche e contrapposizione sui principi e sulle singole questioni politiche e sociali aperte.
Il lavoro politico era senza orario e senza pause festive, era una militanza totale. Con i compagni più giovani, che avevano avuto un’esperienza partigiana come Marisa Ombra, Laerte Ballario, Valerio Miroglio, Giuseppe Giusio Bo discuteva di cultura, leggendo riviste come “Il Politecnico” di Vittorini, i nuovi romanzi e parlando di astrattismo e di realismo nell’arte. Fu, infatti, sempre curioso delle nuove forme di cultura, spesso mediate dagli amici più giovani che via via incontrava come Anna e Gian Luigi Bravo, Franco e Cin Coggiola. Aiutò la formazione del circolo A. Gramsci e altre iniziative culturali, difendendo l’eterodossia di quei giovani rispetto al sovietismo dei compagni, che erano allora molto influenti nella federazione.
La federazione del PCI era anche impegnata nella solidarietà verso i reduci di guerra, gli ex partigiani, gli sfollati ancora ospitati nel Casermone, apriva le case dei compagni all’ospitalità dei bambini poveri del Sud e poi del Polesine. In particolare dopo l’alluvione del 1948 il partito fu presente nei quartieri colpiti con comitati di assistenza che affiancarono il Comune nella distribuzione degli aiuti agli abitanti. Al sabato e alla domenica per finanziarsi organizzava anche serate danzanti nel salone della sede del partito di via Carducci.
Con l’esempio del nuovo segretario, l’alessandrino Oreste Villa giunto ad Asti dopo l’insurrezione armata dei partigiani astigiani dell’agosto 1946 contro l’amnistia di Togliatti, un fatto clamoroso a livello nazionale, Bo rafforzò il suo naturale senso della mediazione. Ebbe sempre attenzione e rispetto verso ogni compagno che esprimesse idee diverse dalla linea ufficiale, privilegiando la discussione e l’argomentazione, unite alla perseveranza “politica” di far maturare le scelte. Alla notizia dell’attentato di Togliatti, quando quasi tutti i compagni volevano fare la rivoluzione e qualche operaio scese nuovamente in clandestinità, Bo appoggiò Villa nel mantenere la calma e l’ordine, secondo la disposizione data da Togliatti stesso prima di perdere conoscenza.
Il partito di massa
L’espulsione del Pci dal governo (1947) impose una nuova linea politica a Togliatti: la strategia delle alleanze tra operai e ceti medi, questione che Bo colse subito con interesse. Mentre si svolgevano le lotte bracciantili nel Mezzogiorno contro i latifondisti, Bo cominciò ad occuparsi dei piccoli proprietari astigiani, costruendo contatti nei paesi e iniziative rivendicative.
Alle elezioni del ’48 Oddino Bo, con una visione politica avanzata, propose la candidatura al Parlamento di una donna, la giovane partigiana Marisa Ombra, che non avendo ancora compiuto 25 anni, non poté essere candidata. Nel collegio Sud del Piemonte fu comunque eletta una donna, l’astigiana Bettina Gallo e Bo lo ricordò in diverse occasioni come titolo di merito della federazione astigiana.
Segretario della federazione
Nell’agosto 1951 Oddino Bo, a 29 anni, diventò segretario della federazione astigiana, un dirigente che definirei togliattiano nel suo impegno di costruire il partito nuovo di massa e la strategia delle alleanze. Si preoccupò della preparazione culturale dei quadri di partito, con particolare attenzione alla comunicazione verso l’esterno.
Dovette subito affrontare problemi molto gravi: il partito era stato sconfitto alle elezioni amministrative del capoluogo che aveva governato da dopo la Liberazione, 12 comunisti ex partigiani erano stati arrestati per proteste contro la guerra di Corea e il partito, organizzativamente molto debole e con gravi difficoltà economiche, subì anche lo sfratto. La sede provvisoria fu in un capannone e soltanto nel ’54 con una sottoscrizione tra gli iscritti si aprì la sede in via XX Settembre a Palazzo Catena.
In quell’anno La politica internazionalista subì una e se ne discusse molto anche all’interno della federazione astigiana, come di casi di espulsione politica a livello nazionale.
Ma, oltre alle questioni locali, anche una piccola federazione periferica come Asti era immersa nella grande storia e nel dibattito internazionale, per esempio riguardo alla rottura tra Stalin e Tito. Bo scrisse nelle sue memorie con franchezza che “A quel tempo eravamo tutti stalinisti”. Scoppiata la guerra di Corea (1950), teatro drammatico della guerra, il PCI si mise alla testa di una mobilitazione nazionale per evitare che l’Italia aderente alla Nato entrasse in guerra e anche ad Asti all’inizio del 1952 si svolse una manifestazione contro l’intervento americano, caratterizzata dallo sciopero operaio e da un corteo che travolse lo sbarramento della polizia. Ma agli organizzatori, tra cui Bo, giunse l’imputazione di manifestazioni non autorizzate e di aggressione e violenza a pubblico ufficiale, a cui seguì anche un processo.
I nuovi obiettivi politici e l’organizzazione contadina
Il giovane segretario si impegnò per rilanciare il partito elaborando una strategia con nuovi obiettivi politici aperti alla società locale. Fino a quel momento il centro della politica della federazione era il lavoro nelle fabbriche e Bo diede spazio ai giovani quadri del partito e del sindacato Gianni Bosio, Giovanni Gerbi, Laerte Ballario , Lorenzo Tarabbio, ma si impegnò nel lavoro politico verso le campagne, riconoscendo il ruolo del ceto medio produttivo (i piccoli proprietari oltre ai proletari della terra) nel rinnovamento della società, superando i dogmatismi del marxismo stalinista. Quando affrontò le problematiche della piccola proprietà contadina Bo scelse, infatti, l’impostazione di Nicolaj Bucharin che nel 1929 si era opposto alla collettivizzazione della terra voluta da Stalin.
Nel 1951 si costituì l’Alleanza contadini Astigiani, organizzazione costituita da PCI e PSI, ma autonoma nei suoi organismi e nelle sue direttive politico-sindacali. A capo dell’Associazione contadini astigiani fu chiamato Bruno Ferraris e successivamente Giuseppe Milani. Venne fatto uscire il giornale “Il Contadino astigiano” come voce alternativa al “Notiziario agricolo” di Coldiretti. La sfida era, infatti, di misurarsi con la fortissima Coldiretti, fiancheggiatrice della DC, con proposte innovative e la denuncia della politica governativa, che non si occupava del settore depresso della viticoltura astigiana e delle necessità della piccola proprietà.
Cinque anni dopo quella scelta strategica fu il modello a livello nazionale per la nascita dell’Alleanza nazionale contadini poi Confederazione Italiana Agricoltori.
I processi ai partigiani
Secondo le direttive del ministro degli Interni, il democristiano Mario Scelba, che espulse gli ex-partigiani dalla polizia, sostenne le politiche padronali di limitazione dei diritti in fabbrica e diede ordine di repressione poliziesca degli scioperi, molti partigiani furono arrestati per fatti avvenuti durante la guerra o immediatamente dopo i giorni della Liberazione. Cito un esempio per tutti: la detenzione preventiva di due anni, il processo e la condanna a 30 anni, poi revocata, del comandante partigiano dell’VIII Divisione Garibaldi Battista Reggio “Gatto”.
Venne anche riaperto dalla magistratura il fascicolo sull’episodio di S. Libera, nonostante gli accordi sottoscritti a suo tempo dal governo, con procedimenti contro i partecipanti a quella manifestazione armata, che colpirono in particolare Armando Valpreda e Primo Rocca. Bo seguì personalmente tutte quelle situazioni incresciose, mettendo in atto la solidarietà partigiana insieme ai comandanti partigiani, mentre l’avv. Felice , già sindaco della Liberazione, difese gratuitamente gli imputati.
Uno dei problemi gestionali più gravi era quello finanziario e a volte ai funzionari di partito, che già non avevano contributi previdenziali, non veniva pagato lo stipendio. Si crearono quindi forme di autofinanziamento come il soggiorno estivo a Spotorno gestito da compagni volontari.
Le grandi battaglie
Nelle elezioni politiche del 1953 il PCI si impegnò contro la legge-truffa, impedendo che la DC di ottenere la maggioranza assoluta. A livello locale Bo, attraverso i giusti contatti politici, riuscì a impedire che l’on. Alessandro Scotti con il suo Partito dei Contadini, molto forte nell’Astigiano, si alleasse con la DC e diede così un contributo rilevante al risultato elettorale.
Mentre negli Usa era in pieno sviluppo la caccia alle streghe di McCharty contro i comunisti, il lavoro di partito si concentrò sulla raccolta di firme contro la bomba atomica, creando alleanze con i cattolici sul tema della pace, nonostante gli attacchi del nuovo vescovo Mons. Cannonero, ferreo interprete delle posizioni di Pio XII contro il comunismo, e la federazione astigiana ebbe nuove adesioni, anche tra i giovani.
In Italia la repressione del governo e del padronato espulse dalle grandi fabbriche sindacalisti e comunisti e questo accadde anche ad Asti, dove fu licenziato anche il direttore della Way Assauto, l’ex comandante partigiano Tino Ombra nominato subito dopo la Liberazione, e fu impedita ogni attività politica in fabbrica.
La via italiana al socialismo
Il 1956 fu una data fondamentale nella storia del PCI e anche in quella personale di Oddino Bo fu senza dubbio l’VIII congresso che elaborò la strategia della via italiana al socialismo, dopo la denuncia dei delitti di Stalin al XX Congresso del PCUS fatta da Kruscev. Ma fu anche l’anno dell’insurrezione di Ungheria repressa dai sovietici, uno degli episodi più dolorosi per tutti i comunisti italiani, alcuni dei quali si allontanarono dal partito. Nell’autobiografia Bo valutò quei passaggi cruciali come un’occasione perduta per democratizzare il partito sovietico anche in riferimento a una nuova politica agricola non attuata, visto che, dopo Kruscev, prevalse il burocratismo di Breznev. Dolore e dubbio, ma la posizione di dirigente politico impose a Bo di seguire le indicazioni di partito e di contenere il dissenso interno. “In quel momento”, scrisse, “si doveva dunque discutere, si dovevano esercitare la critica e l’autocritica, ma si doveva anche fare quadrato” (p. 259 L’Utopia vissuta). E Bo abbracciò con convinzione le indicazioni della via italiana, democratica, al socialismo.
Sempre in quell’anno i contadini astigiani manifestarono con le passeggiate dimostrative contro il dazio sul vino. Bo fu uno degli artefici organizzativi e vide infine i risultati del lavoro politico nelle campagne. Così nel dibattito del V Congresso provinciale riuscì a far inserire nelle tesi congressuali il riconoscimento della funzione dell’Alleanza Nazionale dei Contadini.
Sempre quell’anno aprì insieme ai socialisti (inizialmente 11 artigiani) un nuovo spazio di alleanze, fondando l’Unione Artigiani che aderì alla Confederazione Nazionale dell’Artigianato (CNA) e che dal 1957 fu diretta da Sergio Quartetto raggiungendo più di 2000 iscritti. Bo ribadiva e ampliava così la sua visione della centralità del ceto medio ai fini del cambiamento della società.
Sotto la sua responsabilità politica nel novembre 1958, Piero Testore, direttore responsabile e Valerio Miroglio, il vero artefice dell’iniziativa, con qualche giovane collaboratore, costruirono il più bel settimanale che sia mai uscito in città, “La voce dell’Astigiano” un giornale schierato a sinistra ma non dogmatico, aperto alle problematiche culturali, che faceva inchieste anche scomode sui potentati locali, sortendo a volte effetti dirompenti e che prestò attenzione, con grande anticipo sui tempi, alla difesa del paesaggio e dei beni culturali, all’urbanistica, alla cultura, alle scelte di sviluppo economico e sociale. Bo era pienamente convinto della formula di giornale della Sinistra, anche per ribadire la politica delle alleanze e rompere la prevalenza della D.C.. Il Comitato federale in ottobre, dopo un’accesa discussione, approvò la scelta del nuovo giornale, ma decise anche di continuare la pubblicazione del giornale di fabbrica “Progresso W.A.” con la sua visione dichiaratamente operaista. Bo con la sua dote di mediatore riusciva a tenere insieme soggetti molto diversi.
Alla fine degli anni ’50 il nuovo indirizzo di industrializzazione aggravò la crisi dell’agricoltura in particolare, nell’Astigiano con l’imponente esodo dei giovani contadini verso le fabbriche torinesi, mentre si intensificò l’immigrazione di intere famiglie dal Sud. Vi fu comunque qualche provvedimento governativo per i ceti medi: il riconoscimento della mutua dei contadini, degli artigiani e dei commercianti (piano Vanoni), il Piano Verde, l’abolizione del dazio sul vino dopo nove anni di lotte (1959 – Legge Longo Pertini).
Alle elezioni amministrative del novembre 1960 Bo, per dieci anni segretario senza cariche pubbliche, venne eletto per la prima volta nel Consiglio comunale di Asti. Il PCI astigiano, attento anche alle esigenze del ceto medio, ottenne buoni risultati, mentre la DC registrò un netto calo.
Bo venne riconfermato segretario nel VI congresso provinciale del 1960, ma, come era suo costume di militante senza aspirazioni carrieristiche, propose lui stesso la sua sostituzione, che avvenne nell’autunno del ’61 con l’elezione a segretario di Bruno Ferraris, che veniva dall’esperienza dell’organizzazione contadina e di consigliere provinciale e garantiva una continuità di linea politica. Nella discussione per la sua successione, Bo non nascose la sua preferenza per Valerio Miroglio, di cui apprezzava l’intelligenza e lo spirito di iniziativa, ma Miroglio era un intellettuale spesso accusato di deviazione ideologica dalla vecchia guardia.
Dopo il conflitto con Ferraris, Miroglio rifiutò di entrare in segreteria, ma mantenne la direzione de “La voce”, ma da quel momento le difficoltà economiche del giornale si accrebbero. Alla fine di quell’anno con la mediazione di Davide Lajolo e di Oddino Bo, in controcorrente con il clima politico che vedeva l’allontanamento tra PCI e PSI, avvenne la fusione, con il riconoscimento paritetico del ruolo dei giornalisti delle due testate, tra “La Voce” e “La nuova provincia”, il settimanale di proprietà del socialista Giuseppe Cirio. Venne così mantenuta in provincia una voce alternativa alle testate conservatrici, il liberale “Il cittadino”, il democristiano “Astisabato” e il cattolico “la Gazzetta d’Asti”.
L’elezione al Parlamento
Oddino Bo andò a far parte della direzione regionale del PCI e per due anni fu responsabile della sezione agraria. Nel 1963 venne eletto deputato e il PCI ottenne un buon successo elettorale in tutta la provincia. Dopo circa vent’anni la provincia aveva di nuovo un proprio rappresentante in Parlamento.
In occasione del governo di centro-sinistra si aprì nella federazione una discussione critica sui rapporti con il PSI, ma Bo dichiarò esplicitamente di voler evitare la rottura con il PSI, auspicando una nuova collaborazione, che pur tenendo conto delle diversità dei due partiti, sostenesse la classe operaia contro l’egemonia dei monopoli.
Lavorò con molto impegno nella Commissione agricoltura della Camera dei Deputati: presentò 56 progetti di legge inerenti a questioni agricole, di cui 11 furono approvati. Era anche costantemente presente nelle campagne, consolidando i rapporti con i compagni e con l’associazione contadina. Nel 1968 Bo fu attivo organizzatore della protesta contadina per richiedere l’approvazione del fondo di solidarietà contro le calamità naturali e definì con compiacimento “Sessantotto contadino” il movimento di giovani contadini che con i loro trattori scesero dalle colline verso Asti, affrontando anche il blocco della polizia. Finalmente c’era un movimento di lotta a fianco di quello studentesco e di quello operaio e Bo organizzò incontri tra operai e contadini. Quello fu il momento di convalida storica della sua strategia politica.
L’esito più significativo del suo lavoro parlamentare fu la legge sul fondo di solidarietà contro le calamità naturali, accanto al riconoscimento alla città di Nizza Monf.to. della medaglia d’argento per la partecipazione alla Resistenza, una storia che Bo aveva aiutato a ricostruire nel decennale della Resistenza nella tesi di laurea di Anna Bravo sulla Repubblica dell’Alto Monferrato, valorizzando per la prima volta la resistenza dei contadini astigiani.
Nelle elezioni politiche del 1968 Oddino Bo venne riconfermato deputato.
Il rinnovamento generazionale del PCI astigiano
I movimenti del ’68 aprirono una discussione molto accesa nel partito tra i giovani militanti, che denunciavano i ritardi del partito nei confronti delle nuove rivendicazioni degli studenti e degli operai e la burocratizzazione dei funzionari che non lasciavano spazio politico alla base. Quando, nell’agosto si aprì la ferita nel mondo comunista della repressione sovietica della primavera di Praga, le differenziazioni interne si fecero più evidenti fino all’uscita di alcuni militanti, che seguirono le posizioni del gruppo del Manifesto.
Nelle elezioni del primo Consiglio della Regione Piemonte, nel 1970, Bruno Ferraris venne eletto consigliere regionale e non si trovò una sostituzione interna. Il nuovo segretario Gian Carlo Binelli, un giovane funzionario della federazione di Alessandria con esperienza nella FGCI nazionale, assunse il compito del rinnovamento della struttura organizzativa, trovando appoggio nei giovani contestatori interni e nel 1975 il PCI riuscì a giungere al governo della città stabilendo l’accordo politico con il PSI e il PSDI, in un modo anomalo rispetto al quadro nazionale e anticipando altre soluzioni amministrative. Era la lezione di Bo aggiornata: il PCI non arroccato, ma capace di esercitare l’egemonia anche nei confronti di altre forze politiche.
Dirigente dell’organizzazione contadina
Nel 1972, applicando la direttiva di partito della sostituzione dopo due legislature, Bo lasciò il seggio parlamentare a Aldo Mirate. Non chiese nuovi incarichi politici, ma dedicò la sua ricca esperienza politica alla Confederazione Italiana Agricoltori, di cui è stato uno dei più apprezzati dirigenti regionali e nazionali.
Attivo nelle indicazioni rivendicative e nella gestione delle vertenze, diede un contributo rilevante, sostenendo Bruno Ferraris, divenuto nel 1975 assessore all’agricoltura della Regione Piemonte, alla stipula dell’accordo professionale normativo ed economico per il moscato e l’Asti spumante tra le associazioni dei viticoltori e le grandi aziende spumantiere.
Nel 1983 aiutò la nascita della “Viticoltori Piemonte” che raccolse 9000 aziende agricole associate, tra cui 390 cantine sociali. Si impegnò per il riconoscimento dei vini “DOC”, per il sostegno alle Cantine Sociali contro le accise sul vino volute dall’Europa. Fece parte del Comitato Nazionale Vini, fu presidente regionale della Confcoltivatori e componente della Commissione Vitivinicola italo-francese. Diede, inoltre, il suo contributo all'Ente Sviluppo agricolo del Piemonte. Ricevette, per il suo impegno, la Medaglia di Cangrande alla manifestazione del Vinitaly di Verona e altri riconoscimenti, quali il Torchio d'oro - Immagine Doc Paolo Desana 1999.
Fece il consigliere comunale, oltre che ad Asti, a Nizza Monferrato e a Costigliole e fu membro del CO.RE.CO. di Asti.
Fu consigliere dell’Istituto Alcide Cervi e diede un significativo contributo al Museo di Pietro Badoglio a Grazzano.
Fu membro molto attivo del comitato direttivo dell’Anpi e nel 70mo anniversario della Resistenza gli è stata consegnata la tessera ad honorem.
Gli scritti
Bo scrisse sulla storia del movimento contadino soffermandosi sul rapporto della società rurale con la Resistenza nel saggio «Ambiente e campagne nella guerra di liberazione», pubblicato nel secondo volume Dalla ricostruzione ai giorni nostri di Le campagne piemontesi dal II dopoguerra agli anni ’70: le lotte e le organizzazioni contadine (De Donato, 1981), e un altro saggio in AA.VV. Democrazia e contadini in Italia nel XX secolo, Robin edizioni, 2006). Partecipò anche alla pubblicazione Storia del Movimento operaio, del socialismo e delle lotte sociali in Piemonte.
Sostenne la nascita dell’Istituto della Resistenza, fece parte del consiglio direttivo e diede un contributo fattivo alle ricerche. Partecipò con la relazione “I coltivatori diretti in Piemonte dal fascismo alla Resistenza” al primo convegno dell’Israt (1984), i cui atti furono pubblicati nel volume Contadini e partigiani, che divenne un punto di riferimento molto importante per gli studi resistenziali.
Scrisse la prefazione al volume dell’Israt Sinistra e piccola proprietà. L’Associazione Contadini Astigiani 1951-1975 (1990). Fu promotore di un convegno sul Sessantotto, a cui partecipò con il suo saggio “Il ’68 contadino”. Gli atti furono pubblicati nel volume I giovani e la politica: il lungo ’68 (a cura di N. Fasano, M. Renosio, 2002).
La passione politica
Il periodo della direzione della federazione astigiana fu per Bo politicamente non facile, ma umanamente ricco e pieno di soddisfazioni. Lui stesso lo definì un’esperienza “unica, irripetibile” con meriti e demeriti, con slanci e errori e soprattutto con “l’ingenuità di cambiare in alcuni decenni un mondo che cambia a misura di secoli”.
Dopo la fine dei regimi comunisti notò con amarezza che veniva esaltata la società capitalista perfetta, vincente ed eterna” e la fine della speranza di socialismo. Di fronte a quella controffensiva culturale, Bo si dichiarò convinto che c’erano ancora “spinte oggettive e soggettive per nuove vie e per nuove soluzioni che sappiano armonizzare e programmare il rapporto tra capitale e lavoro, tra Nord e Sud, tra pubblico, privato e sociale non solo in Europa, a partire dal tipo di sviluppo compatibile con la questione demografica, col crescente progresso tecnico e con la difesa dell’ambiente. Ed è un problema che si pone non solo alla Sinistra, non solo alla politica, ma anche alle religioni”.
Parole scritte una quindicina di anni fa, che ora sembrano profetiche.
Ma, d’altro canto, ammoniva Bo, dal fallimento del socialismo reale non possono nascere nuove illusioni, arroccandosi nel dogmatismo bigotto e nel filosovietismo acritico, o disperate rinunce a non impegnarsi più. Era necessaria una risposta collettiva e quindi continuò ad essere iscritto a quel partito, che via modificava la sua concezione oltre che la sua denominazione.
Nella prefazione de L’Utopia vissuta annotò: “La mia riflessione scritta vuole essere soprattutto l’omaggio di un militante al suo Partito, che dopo 70 anni di vita e di lotte, si è autosciolto per dare vita ad una nuova formazione politica di sinistra che, oltre a comprendervi i comunisti intende raccogliere altre forze che si impegnino sulla via del cambiamento e del progresso. Intento non facile ma non impossibile. E la storia dirà sino a che punto, nel rispetto – almeno lo spero – di tutte le opinioni anche di chi ha scelto strade diverse”.
Ritrovo tutta la concezione politica di Bo in queste parole: il suo forte senso di appartenenza al partito che è stato il suo impegno di vita, il rispetto per i compagni che non hanno aderito alla nuova formazione, la volontà di dialogo e ancora la speranza nel cambiamento, che volle trasferire pedagogicamente in tutti i giovani che incontrava, prestando attenzione alla loro maturazione politica e usando sempre la determinazione delle argomentazioni piuttosto che lo scontro polemico. Godette sempre di grande rispetto all’interno del suo partito e anche da parte degli avversari.
Oddino Bo, con i suoi trasparenti occhi azzurri e il suo portamento elegante, è stato un uomo probo (aggettivo oggi entrato in disuso), onesto moralmente e intellettualmente, intelligente e sensibile. Ha saputo coniugare la sua passione politica con il calore umano e fino all’ultimo ha avuto progetti per il futuro.