10/02/2017
Una generazione perduta
La Stampa 10/02/2017
Avevo appena concluso un interessante colloquio con un gruppo di studenti italiani e stranieri dell’Istituto Castigliano nel laboratorio sull’integrazione “Caffelatte 3”, quando ho letto sul giornale la lettera di Michele, suicida a 30 anni. Nel laboratorio avevo proposto come tema di discussione “Il sogno che ho per me…”, intendendo il sogno non come una fantasia, ma come un progetto futuro di vita. Gli stranieri sono stati più propositivi sui loro obiettivi perché la scuola è già una promozione sociale di integrazione in un paese che è anche il loro. Gli italiani si sono dimostrati più sfiduciati di realizzare le loro aspirazioni. Michele non è riuscito a sopravvivere alle sue sconfitte e si è definito appartenente a una “generazione perduta”, che non riceve nulla dalla nostra società arida. Troppe promesse non mantenute come scrive lui, “stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere, stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie”. Un gesto definitivo di un ragazzo troppo sensibile in “una realtà sbagliata, una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti e le alternative, sbeffeggia le ambizioni”. La sua “assenza” dalla vita pone interrogativi terribili sulla condizione dei giovani.