Associazione Davide Lajolo Odv

Saggi

21/12/2022

Il partigiano Johnny: fonte letteraria di Claudio Pavone

di Laurana Lajolo

La scelta “privata” del partigiano Johnny

Claudio Pavone, nel suo studio Una guerra civile – Saggio storico sulla moralità della Resistenza[1], per legittimare la definizione della Resistenza come guerra civile, oltre che guerra patriottica e guerra di classe, attinge al romanzo di Beppe FenoglioIl partigiano Johnny come fonte per ricostruire il vissuto dei giovani combattenti e della loro scelta individuale presa senza un riferimento ideologico preciso. Predomina in loro l’odio verso i fascisti sulla comunanza politica e la qualificazione patriottica di appartenenza alle formazioni. L’armistizio dell’8 settembre ’43 segna una frattura profonda nella storia delle istituzioni militari e della percezione del paese verso l’esercito e i suoi comandanti[2] e la scelta partigiana viene ad essere la virtù della disubbidienza alla RSI. Per Pavone sostiene molti giovani, incarnando un umanesimo esistenziale, diventano partigiani per un sentimento individualista di ribellione e per spirito di avventura, non per una precisa convinzione politica.  Il protagonista dei libri resistenziali di Fenoglio si chiama Johnny, il soprannome che gli hanno affibbiato i compagni di liceo per la sua conoscenza dell’inglese, e combatte una sua guerra “morale”, come si legge nel sottotitolo del saggio di Pavone, contro i fascisti prima ancora che contro i tedeschi.

Gabriele Pedullà, che nel 2015 ha ricomposto, secondo le intenzioni dello stesso scrittore, tutti i romanzi autobiografici di Beppe Fenoglio in un unico romanzo “grosso” con il titolo Il libro di Johnny[3], considera la scelta di Fenoglio innanzitutto come confronto tra generazioni: con la madre, che vorrebbe che il figlio stesse nascosto fino alla fine della guerra, e con il padre che vorrebbe ancora proteggerlo. Quella decisione, comune ad altri suoi coetanei, non è soltanto un atto di disubbidienza verso lo stato, ma anche una ribellione all’autorità familiare. La guerra è un affare di giovani e occasione di crescita per il figlio.[4]

Anche Pietro Chiodi, professore di filosofia di Fenoglioal Liceodi Alba, ricorda che quello studentefin dagli anni del ginnasio ad Aba si era immerso, come un pesce si immerge nell’acqua, nel mondo della letteratura inglese nella vita, nel costume, nella lingua, particolarmente dell’Inghilterra elisabettiana e rivoluzionaria: viveva in questo mondo, fantasticamente, ma fermamente rivissuto per cercarvi la propria “formazione”, in una lontananza metafisica dallo squallido fascismo provinciale che lo circondava. Più volte mi disse che da adolescente aveva spesso sognato di essere un soldato dell’esercito di Cromwell, con la Bibbia nello zaino e il fucile a tracolla. (…) Fenoglio andava alla ricerca di un modello umano, di una “formazione”, di uno stile diverso da quello che il fascismo gli offriva[5]. E, secondo Chiodi, Fenoglio diventa scrittore dopo aver   attraversato il viaggio all’inferno della guerriglia nel Cuneese.

 

I rossi e gli azzurrI

Fenoglio, studente universitario e allievo ufficiale, entrando nella Resistenza, non rifiuta il sistema militare, anzi ricerca l’organizzazione, la disciplina e la gerarchia che distingue tra ufficiali e partigiani e abbandona quasi subito il gruppo garibaldino, Stella rossa, a cui aderisce all’inizio, perché rifiuta l’impostazione politica rivoluzionaria dei “rossi” e anche la composizione popolare dele bande garibaldine, volontari senza preparazione militare, violenti e incapaci di una vera disciplina.  Il personaggio più odioso del romanzo è il commissario politico garibaldino Nemega, fascista convertito alla causa comunista, con i suoi corsi di marxismo, che Johnny trova ripugnanti.

Il dialogo di Johnny con il giovane garibaldino Tito, mentre i due si apprestano a dormire in una chiesa sconsacrata illuminante della concezione militare di Fenoglio: Tito gli consigliò di seppellirsi nella paglia e allora Johnny reagì, out of too much thankfulness. – non devi credere di dovermi fare da bambinaia, Tito. Sai, io vengo dall’esercito -. Tito non aveva mai conosciuto l’esercito, ma nel settore acustico parve a Johnny che la precisazione non gli avesse prodotto il menomo effetto. Ed il rumorino ora era di sprezzante sufficienza? I giovanissimi, i ventenni come Tito conoscevano e giudicavano l’esercito soltanto dietro l’8 settembre, era naturale quindi che si considerassero elementi a commentare senza parole, al più con un sollievo di ciglia, ogni cosa o detto attinente all’esercito[6].

Pavone[7] cita la valutazione di Fenoglio del reclutamento garibaldino: Dato che non si è voluto vagliare gli arruolati, i partigiani erano quello che erano, il fiore e la feccia, come sempre succede in tutte le formazioni volontarie. Estremamente interessante ed importante era l’opinione delle città, piccole e grandi. Finché non li vedevano, ma solo li sentivano sulle alture, i cittadini li giudicavano arcangeli…ma così i cittadini potranno vederci…e da bravi cittadini, se avranno da lodarsi per nove, ci stigmatizzeranno ferocemente per uno solo. Perché non apparire arcangeli, potendolo, fino allo smash finale?[8].

Fenoglio si rende conto che non è quella la sua parte: Really, I ‘m in the wrong sector of the right side[9], criticando aspramente lo spontaneismo antigerarchico e antimilitarista dei garibaldini e giudicandoli militarmente dei dilettanti.  Sceglie di combattere nella II Divisione Langhe Autonomi, comandata da Piero Balbo “Poli” (il comandante Nord del romanzo), bello e elegante nelle sue divise, capace di riprodurre la rigida disciplina dell’esercito nel raggruppamento partigiano e anche di accogliere le ragazze in formazione.  

Gli ufficiali dell’esercito, che confluiscono nelle divisioni Autonome, sottolinea Claudio Pavone[10], sentono più vincolante il giuramento al re e la fedeltà allo Stato monarchico che al duce, e quindi combattono contro la Repubblica sociale italiana, che considerano in discontinuità con il regio esercito.

Mentre gli Autonomi selezionano il loro personale, i Garibaldini, con la preminenza organizzativa del partito comunista, chiamano a raccolta, con appelli rivolti al popolo, tutti i giovani che vogliono combattere. Privilegiano i caratteri localistici e l’arruolamento popolare nelle bande e sperimentano la democrazia di banda, dove i capi sono scelti dagli stessi volontari senza ruoli rigidamente gerarchici. Reclutando tanti giovani contadini renitenti alla leva, militarmente inesperti, sono particolarmente attenti nell’evitare il pericolo che si formino bande irregolari e non rispondenti alla disciplina del comando.  Mentre per i Garibaldini è determinante l’autodisciplina, nelle formazioni autonome, nota Pavone, vige un sistema di norme militaresche derivate dal regio esercito, come la pratica del legare al palo il trasgressore, rifiutata dai garibaldini.

Le formazioni, espressione dei partiti e dei movimenti antifascisti, nutrono esplicite diffidenze nei confronti degli Autonomi, che rappresentano la continuità della disciplina e della prassi del vecchio esercito regio complice del fascismo.  Con una diffusa ripulsa del militarismo, le formazioni GL, emanazione del Partito d’Azione, e quelle Garibaldine, combattono contro la RSI e l’esercito tedesco con l’obiettivo di cambiare lo Stato e di rifondare la politica.

Pavone sottolinea che durante la lotta di liberazione si creano rapporti problematici tra gli Autonomi e le formazioni garibaldine, politicamente sospette per gli Alleati, che privilegiano gli aiuti militari e i contatti con i monarchici[11], ma aggiunge che l’originalità della Resistenza italiana rispetto ad altre organizzazioni europee consiste, appunto, In tale combinazione tra lotta armata e lotta di massa[12].

Fenoglio, dunque, apprezza la formalità dei comportamenti e affascinato dal senso estetico delle divise, sta con i partigiani monarchici, che impostano la loro resistenza come guerra patriottica contro i fascisti per ristabilire l’onore dell’esercito e della patria e ricostruire l’identità nazionale.

Johnny naturalmente era un altro uccello in questo stormo, ma trovò però, nel nuovo ambiente, almeno un comune linguaggio esteriore, una comune affinità di rapporti e di sottintesi, un poterci stare insieme non soltanto nella sua necessitante battaglia, ma più e principalmente nei lunghi periodi di attesa e di riposo. Erano brillanti, attraenti, ma superficialmente, ed in tutti regnava una lancinante nostalgia ed inclinazione alla regolarità, una dolorosa accettazione di quell’irrimediabile irregolarità per la quale non era possibile schierarsi e combattere nei vecchi ed onorati schemi[13].

Fenoglio è fiero della sua funzione di ufficiale di collegamento, con un’impeccabile divisa, come interprete presso la missione inglese in Monferrato, seguendo i tre baluardi del suo spirito puritano: l’esercito, il re e il comandante della II Divisione Langhe (Nord nel romanzo), mentre giudica i “rossi” un incomprensibile sottoprodotto della guerriglia, non determinante per l’esito vittorioso della Resistenza.

Johnny descrive la netta separazione tra “azzurri” e “rossi” anche nelle ore di pausa dai combattimenti, quando i due gruppi si trovano, nell’estate 1944, nel paese di congiunzione tra le zone controllate dai due schieramenti.

S. Stefano è la festiva Mecca dei mille e mille partigiani, azzurri e rossi delle basse Langhe[14], dove incontrare le ragazze, che si mettevano nei capelli nastrini azzurri o rossi a seconda dei partigiani preferiti, ma spesso cambiano all’improvviso le simpatie.

Era uno sciame azzurro e rosso, con una colpente, significativa bilanciateti. Gli azzurri erano più eleganti e flessuosi, stupendamente atti al bel gesto od al lungo, autocritico riposo. I garibaldini avevano nella loro toughness la loro principale caratteristica fisica, apparivano più tagliati per la lunga grigia campagna, per lo sforzo pianificato e perpetuo, e, soprattutto, con un terrificante aspetto di saper andar oltre quando per gli azzurri tutto era finito da un pezzo[15].

Le frizioni e le provocazioni tra i due schieramenti sono molto frequenti tanto che è istituito un controllo militare misto fino a che con i rastrellamenti dell’autunno ’44 i fascisti tornano a comandare anche in quel paese.

 

Il nemico

Pavone giustifica la violenza partigiana come necessaria conseguenza del crollo del regime fascista e del disfacimento dell’esercito, che comportano la rottura del monopolio della violenza da parte dello Stato. La lotta partigiana per la giusta causa è lo sbocco inevitabile per far finire la guerra e liberare il paese dai nazisti e dai fascisti. La difesa armata è legittima perché connaturata alla moralità della scelta, mentre la violenza fascista si connota come sfida proterva e, consapevole dello sfacelo finale, come autodistruzione[16]. Nelle pagine di Fenoglio l’odio fratricida è il principale impulso per combattere i fascisti traditori della patria, servi dei nazisti che vanno uccisi[17].

Verso i soldati tedeschi catturati c‘è un atteggiamento di rivalsa e un sentimento di orgoglio nel piegare l’esercito più forte del mondo, ma loro vite sono salvate in vista di trattative per un sollecito scambio dei prigionieri, essendo troppo problematico organizzare campi di concentramento.

Nel racconto “Golia”, citato da Pavone, Fenoglio narra come la gente sia stupita della presenza in paese di un prigioniero tedesco catturato dai partigiani: Videro attaccare la salita un drappello di partigiani con in mezzo un uomo tanto più alto di loro, come se lui sfuggisse alle regole della distanza che riducevano di tanto i partigiani. Il gigante vestiva un’uniforme e aveva capelli biondissimi, nei quali il sole giocava frenetico, come se non n’avesse parecchie di quelle occasioni [18].

I partigiani lo chiamano Fritz, e, in vista di uno scambio, gli fanno lavare i piatti e a spaccare la legna e, giorno dopo giorno, la popolazione non lo considera più un nemico. Tra i partigiani nasce la discussione se sia giusto trattare bene quel nemico piuttosto che vendicare nella sua persona i tanti partigiani torturati e impiccati ai ganci da macellaio. E Sandor risponde a chi vuole ucciderlo: Io ti capisco Ivan, ma non mi sento di far fare a Fritz la fine che vuoi tu. Io coi tedeschi ce l’ho, è naturale che ce l’ho, per tante cose. Ma non c’è confronto con come ce l’ho coi fascisti. Io arrivo a dirti che ce l’ho solo coi fascisti. Per me sono loro la causa di tutto[19].

Il racconto di Fenoglio si conclude con l’uccisione di Fritz da parte di Carnera, la mascotte di quattordici anni del distaccamento, messo a guardia del tedesco durante il trasferimento da una collina all’altra, ma quando il prigioniero lo deride: Tu piccolo, non essere capace di uccidere me” e tenta di allontanarsi e allora il ragazzo fece partire un colpo dalla sua piccola pistola[20].

 

I processi partigiani

Nel luglio ’44 il Corpo Volontari della Libertà emana precise disposizioni sul trattamento dei prigionieri, promettendo salva la vita a chi si arrende e si impegna a non combattere più contro le forze partigiane. Vengono date regole per lo svolgimento dei processi, prevedendo il diritto alla difesa del prigioniero, gestito da un rappresentante dei partigiani. Si indicano punizioni esemplari verso quei combattenti che si appropriano personalmente di beni privati o che intimoriscono in qualche forma la popolazione. Si ritiene, infatti, essenziale per la guerriglia partigiana avere la benevolenza e la protezione della popolazione.

Per salvaguardare la legittimazione del movimento resistenziale i processi contro i partigiani colpevoli di reati possono concludersi anche con la pena di morte.

Il racconto fenogliano “Vecchio Blister”[21] narra la vicenda di un partigiano di Cossano che ha rubato e che viene processato dai suoi compagni: Blister, il ladro, stava seduto su uno sgabello a ridosso della parete, e aveva di contro la fila dei partigiani innocenti e offesi, ma tra lui e loro correva vuoto lo spazio di tutto lo stanzone[22]. Blister non crede che i suoi compagni possano ucciderlo. Si giustifica dicendo di aver sbagliato perché era ubriaco e ricorda di come ha fatto “il partigiano sul serio”. Era convinto di aver rubato dell’oro a una famiglia di fascisti e adesso non vuole anche passare da traditore. Ma l’ordine di condanna a morte mediante fucilazione viene convalidata dal Capitano e, seppure con dolore, i partigiani eseguono la sentenza in una radura vicino a un bosco. Blister corse avanti con le mani protese come a tappare a bocca dell’arma di Set e così i primi colpi gli bucarono le mani[23].

 

I ventitre giorni della città di Alba

I fascisti sono considerati i traditori della patria, ma per entrare in Alba il 10 ottobre del 1944 Poli, il comandante della II Divisione Langhe, tratta con i fascisti, tramite l’episcopato albese. Sulla trattativa vi è la contrarietà del comando garibaldino di zona. Anche Johnny, nel raccontoI ventitre giorni della città di Alba, esprime perplessità sul progetto del capitano Nord, che richiede un impegno campale, a cui i partigiani non sono militarmente preparati e che, quindi, è facile per i fascisti respingere. Inoltre, anche dal punto di vista politico è una manifestazione azzardata, perché in città vivono fascisti occulti e, quindi, molto pericolosi, e, alla fine i partigiani riperderanno la città con drammatiche ripercussioni sulla popolazione.

Lo scrittore ricostruisce, con ironia dissacratoria, la trattativa con i fascisti per l’entrata temporanea degli azzurri in Alba, la più selvaggia parata della storia moderna[24], e la successiva ritirata, decisa a seguito dell’avviso da parte dei fascisti di un imminente attacco per rioccupare la città. L’incipit del racconto è fulminante: Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre[25].

Nell’azione militare di riappropriarsi della propria città, liberandola dai fascisti in miserevole ritirata, Johnny svolge una funzione di comando su ordine del capitano Nord, descritto con un “sembiante marmoreo”, che si mostra alla popolazione inguainato in una tuta di gomma nera con tutto un reticolo di cerniere argentate[26], confezionata appositamente per l’occasione.

Mentre i partigiani prendono le posizioni in difesa della città, Johnny, “solo e lento”, strolled verso il centro ed il suo quartiere. Ciò che gli impediva di respirare normalmente era l’aspetto violato della sua città: felicemente e consensualmente violata, nuzialmente, ma violata [27](…) E si dirige a incontrare sua madre per farsi vedere da lei “glorioso”.

I giovani partigiani riempiono i postriboli, distribuiscono sigarette, fanno festa, ma i capi non sanno governare la città, mentre il capitano Nord si sente più sicuro in collina. La liberazione concordata della città è una parentesi di pochi giorni, poi sono i partigiani a doversi ritirare e a riprendere la strada dei boschi, combattendo sotto immortale pioggia e in fango lievitante[28], e cercando riparo nella stalla di qualche cascina.

L’avventura, o meglio, come dice Fenoglio la “messinscena”, è finita e lascia una città nelle mani del nemico. I partigiani nella ritirata hanno perso armi e munizioni e hanno dato prova di dilettantismo militare.  Johnny prevede: La riconquista della città è l’inizio, non la fine. Verranno anche troppo presto e ci schiacceranno su tutte le colline[29], ma spera in altri lanci da parte degli Alleati di armi automatiche.

Arrivano, infatti, i rastrellamenti tedeschi con le rappresaglie contro la popolazione, mentre mancano ordini dal comando e i partigiani sono allo sbando. Il nuovo spettacolo li riiponotizzò, lasciandoli con braccia ed armi pendule, a bocca semiaperta, ed un gelo rugiadoso sulle tempie, sicché un’invista avanguardia tedesca li accerchiò a sinistra e poté sparargli da cinquanta metri, con micidiale inaspettatezza. Furono centrifugati e sbattuti lontano, tutti con nere fasce sugli occhi. Il culmine del ciglione del ciglione sul Belbo era una fontanella di colpi, Johnny vi si tuffò in mezzo e così Ettore, il suo sradicato elmetto, volando nell’aria[30].

Morti gli amici nello scontro, Johnny in fuga si ritrova solo, ma continua a combattere la sua guerra anche quando sembra che tutto sia perduto[31] e che la gente dimostri di essere ormai stanca di vedersi ammazzare.

 

L’incontro con la morte

In Fenoglio c’è l’ossessione della morte “giovane”, calata in una “sconfinata solitudine”[32], come conseguenza inevitabile della guerra civile. Il corpo del partigiano diventa la vittima simbolica della violenza. In molti episodi i protagonisti, siano Milton o Johnny, vengono descritti in fuga, braccati, ma non si capisce se la fuga sia “dalla” morte o “verso” la morte.

Il racconto Una questione privata[33] si conclude con la morte di Milton, il protagonista che combatte la sua guerra personale alla ricerca di un fascista da scambiare con l’amico Giorgio, catturato dal nemico. Milton vuole liberare l’amico per sapere se abbia avuto una relazione con Fulvia, la ragazza torinese di cui è innamorato. Giorgio è bello, Milton è brutto ed è ossessionato che Fulvia lo abbia tradito. Milton è costretto a uccidere il fascista che ha catturato e muore, senza sapere la verità e senza salvare Giorgio.

A volte, come in Primavera di bellezza[34] la morte del protagonista è anche l’artificio letterario per concludere il racconto e darlo alle stampe.

L’incontro con la morte è la fine di una singola esistenza o l’atto di coraggio supremo per difendere gli altri compagni e il ricordo del caduto rimane nei cuori e fissato nei monumenti.

La descrizione del cadavere di Tito è una pagina epica di struggente dolore e di esaltazione dell’immagine giovane trasportato sul camion, rappresentato come un eroe greco: Il camion veniva, affrontando l’ultima rampa con un urlo da Sisifo. Johnny guardò un’ultima volta dalla parte opposta e vide la chiesa gaping, per la sua irrinunciabile funzione. Il camion landed, gli uomini accorsero ad abbattere il spondale, e si vide quanto doveva essere veduto. Tito era chiuso nel lenzuolo – la moglie del dottore guardava con le dita alle labbra la muffa ossa fiorita sul suo bel lenzuolo matrimoniale – chiuso ermetico, come un morto in montagna o in mare. Nella portata della chiesa il Biondo lo scapucciò, lo scoprì fino alla cintola. He sailed in front of Johnny: ci vide un sigillo di eternità, come se fosse un greco ucciso dai Persiani due millenni avanti. Profonda era l’occhiaia, la pelle già ridotta a pura fremente cartilagine, sentente la brezza, e la bocca lamentava l’assenza di baci millenari. I suoi capelli assolutamente immobili e grevi, i capelli d’una statua[35].

Nella battaglia di Valdivilla del febbraio 1945 si concretizza un altro destino di morte, quello del comandante badogliano Pinin Balbo nell’assalto “con passo feroce”, descritto ne Il libro di Johnny con forza epica, e la fine tragica segna il trionfo da eroe[36].

La morte è protagonista delle pagine partigiane di Fenoglio, ma anche di quelle dei suoi racconti di Langa, è quasi una premonizione della sua vita stroncata a 41 anni, vissuta in guerra sulle colline e con la scrittura incalzante e sincopata nella costruzione sintattica inglese delle vicende autobiografiche.

Fenoglio affronta la sua morte con grande dignità, chiuso nella sua solitudine senza più voce, soffocata dal tumore alla laringe.

Pietro Chiodi ne è il testimone: Noi tutti che gli fummo vicini possiamo testimoniare che non ebbe mai un attimo né di scoramento né di rivolta. Scrisse diversi biglietti, sempre con la solita calligrafia, ai parenti e agli amici. Diede precise disposizioni per i suoi funerali che volle fossero “laici, senza fiori, senza soste, senza discorsi”. In un biglietto stabilì l’ordine con cui desiderava che i suoi racconti venissero ripubblicati.

Senza versare una lacrima consegnò a sua moglie questo biglietto di addio per la sua piccola Margherita: “Ciao per sempre, Ita mia cara. Ogni mattino della tua via io ti saluterò, figlia mia adorata. Cresci buona e bella, vivi per la mamma e con la mamma, e talvolta rileggi queste righe del tuo papà che ti ha amato tanto e sa di essere sempre in te e per te. Io ti seguirò e proteggerò sempre, bambina mia adorata, e non devi mai pensare che io ti abbia lasciato”[37].

 

I personaggi

I protagonisti dei libri di Fenoglio sono quasi tutti uomini, tratteggiati attraverso le caratteristiche fisiche nelle loro divise e nomi di battaglia, e psicologiche negli atteggiamenti e nelle azioni, nelle fughe dal nemico o quando frequentano le prostitute, come dopo la presa di Alba: In quelle due case c’erano otto professioniste che quel giorno e nei giorni successivi fecero cose da medaglie al valore. Anche le maitresses furono bravissime, riuscirono a riscuotere la gran parte delle tariffe, il che è un miracolo con gente come i partigiani abituata a farsi regalare tutto[38].

All’ingresso in Alba partecipano alla sfilata dei partigiani anche le ragazze che i badogliani accettano in formazione (al contrario dei garibaldini) e Fenoglio registra lo stupore della gente: Cogli uomini sfilano le partigiane, in abiti maschili, e qui qualcuno tra la gente cominciò a mormorare: - Ahi, povera Italia! – perché queste ragazze avevano delle facce e un’andatura che i cittadini presero tutti a strizzare l’occhio. I comandanti, che su questo punto non si facevano illusioni, alla vigilia della calata avevano dato ordine che le partigiane restassero sulle colline, ma quelle li avevano mandati a farsi fottere e s’erano scaraventate in città[39].

Poche sono le figure femminili, anche se indimenticabili, come Fulvia di Una questione privata, seducente e sfuggente, o Vanda de La paga del sabato, sensuale nella sua fisicità travolgente, o la vecchia di Cascina di Langa protettrice dei partigiani con la sua cagna ne il partigiano Johnny.

Nel romanzo “grosso”, Il libro di Johnny, nel periodo di pace prima della guerra, le ragazze sono descritte innamorate dello studente protagonista ma, nel seguito del racconto della guerra, le figure femminili diventano i due archetipi tradizionali: la ragazza leggera e la ragazza materna e protettrice, e appare un unico personaggio di donna guerriera in Sonia, torturata dai fascisti.

Un altro importante protagonista della narrazione fenogliana è il paesaggio di Langa, un paesaggio fatto di nebbia, neve e pioggia, quasi a trasporre nella natura circostante, nuda, fredda e solitaria, la durezza della “malora” degli abitanti e la solitudine del protagonista nella guerra civile.

La “grande madre Langa” è l’archetipo ancestrale che protegge i suoi figli contro i traditori, con le sue pietre e i suoi boschi. I paesi sono tutti riconoscibili in una geografia arcaica e devono essere protetti dalla guerra per evitare le rappresaglie contro gli abitanti. Sono i rifugi nei boschi e nelle cascine isolate a salvare i partigiani.

 

Fonte letteraria e fonti storiche

La fonte letteraria di Fenoglio, pur ampiamente utilizzata da Pavone come rivelatrice di impulsi e di sentimenti patriottici e libertari, non è, ovviamente, fonte pienamente attendibile nella descrizione di avvenimenti storici e della loro cronologia, come attesta Delmo Maestri nella sua ricerca riguardante l’incarico di Fenoglio come ufficiale di collegamento della II Divisione Langhe con il comando inglese nel Monferrato astigiano all’inizio del 1945[40].

A Fenoglio non interessa la ricostruzione storica e la retorica del combattimento, ma i comportamenti individuali descritti, quegli aspetti psicologici tratti dalle fonti letterarie e dalla memorialistica che permettono allo storico Caudio Pavone di individuare le motivazioni soggettive dei combattenti.

Gabriele Pedullà scrive che la storia raccontata da Fenoglio è: La reinvenzione fantastica, dove si rimane tanto più fedeli al proprio vissuto quanto più si riesce a cogliere il sigillo di una vicenda esemplare e la biografia stessa si fa mito senza smettere di essere storia[41].

 

Il romanzo di formazione di Fenoglio

Sugli inediti di Fenoglio hanno lavorato alcuni critici. Nel 1968 Lorenzo Mondo cura per l’editore Einaudi il volume Il partigiano Johnny e nel 1978, Maria Corti propone il riordino filologico del romanzo, inserendo molti inediti, con il titolo Ur partigiano Johnny[42], in aperta critica con l’edizione di Mondo. Quindi nel 1992 compare una terza stesura a cura di Dante Isella[43], che diventa l’edizione canonica. Le due versioni sono entrambe pubblicate da Einaudi.

Ancora Einaudi pubblica nel 2015a cura di Gabriele Pedullà la stesura integrale del “romanzo grosso”, come l’ha progettata lo stesso Fenoglio. La trama Il libro di Johnny va dal 1942 al 1945 senza rielaborazioni o interruzioni forzate come nelle precedenti edizioni, ma sono inserite parti non pubblicate in Primavera di bellezza, che in questa edizione non si conclude con la morte del protagonista, che procede nella sua vicenda esistenziale. Nel suo interessante saggio introduttivo[44] Pedullà presenta il “romanzo grosso” come un disegno cronologico coerente dal servizio militare alla conclusione della Resistenza, sottolineando la cadenza epica propria del romanzo lungo. 

Pedullà nota come il meccanismo narrativo eroico abbia un ritmo solenne che ricorda Schiller, Goethe e Omero e incida nella scrittura dell’architettura letteraria. Il libro di Johnny è un romanzo di formazione sul modello dei poemi omerici, in cui Alba è come Troia invasa dai nemici e la Resistenza è un cammino di prove da superare per diventare uomo, perché Johnny è un eroe che evolve attraverso la ferita della guerra civile per far rinascere l’Italia.

Il critico sottolinea la dimensione letteraria del romanzo di formazione del protagonista, uno studente che, al momento della scelta partigiana, compie un atto avventuroso individuale di ribellione al fascismo e ricerca un capo e un suo ruolo di responsabilità come ufficiale.[45]. Fenoglio, scrive Pedullà, è più un uomo di passione che di azione e vive l’euforia della scelta partigiana come il punto cruciale della sua esistenza di prima e di dopo.

Nella prima parte del romanzo “grosso” comparela satira eroicomica del fascismo resa dal titolo di Primavera di bellezza, in aperta antitesi con la retorica della “primavera fascista”, e il protagonista narra la sua ribellione al caos dell’8 settembre e lo smarrimento di dover abbandonare l’esercito.

Il cammino di “disobbedienza” al fascismo di Johnnyè indirizzatodal messaggio etico-politico impresso negli anni del liceo dai due professori Pietro Chiodi e Leonardo Cocito, diventati partigiani garibaldini, e

segna il suo percorso verso la vita adulta con l’assunzione della responsabilità di combattere di fronte al tracollo delle istituzioni.

Nel dialogo con il garibaldino Corradi (alter ego del prof. Leonardo Cocito, impiccato dai fascisti a Carignano il 7 settembre 1944), Fenoglio cerca una definizione di partigiano. Corradi dice: - Tutto sta nell’intendersi sul vero significato della parola partigiano.- E Monti disse con forza sospirosa: - Partigiano è e sarà chiunque combatterà a i fascisti. – Corradi lampeggiò: -Ognuno di voi è infallentemente sicuro di riuscire un partigiano. Non dico un buon partigiano, perché partigiano come poeta, è parola assoluta rigettante ogni gradualità. Corradi vede in Johnny, che rifiuta la sua ideologia, un ribelle velleitario: Johnny, mi permetto di pronosticare che sarai uno splendido Robin Hood. Ma come Robin Hood sarai infinitamente meno utile, e bada bene, meno bello dell’ultimo partigiano comunista[46].

 

La guerra fredda

A Liberazione avvenuta, conclusa in breve tempo l’istruttoria delle epurazioni dei fascisti con il Decreto presidenziale di amnistia e indulto per reati comuni, politici e militari avvenuti durante il periodo di occupazione nazifascista (22 giugno 1946) come atto di pacificazione nazionale, si apre la fase dei processi ai partigiani e della loro discriminazione negli uffici pubblici e in fabbrica.

Dopo l’esclusione dei comunisti e dei socialisti dal governo, si fa molto accesa la discussione sui valori della Resistenza e sull’importanza del ruolo svolto dai partiti della sinistra nel movimento di liberazione nazionale.

Per i militanti antifascisti la lotta di Liberazione è stata la speranza di far nascere la nuova società e, dopo la proclamazione della Repubblica, ma nel periodo della guerra fredda e delle discriminazioni politiche, sono spesso i partigiani “rossi” a pagare un prezzo individuale e collettivo. Coloro che hanno militato nelle file partigiane, soprattutto quelle garibaldine, sono considerati pericolosi dal potere democristiano e dal governo statunitense. Per contrastare il “pericolo comunista” in Italia, personalità di spicco, che hanno avuto posizioni di comando nelle file degli Autonomi, entrano a far parte dell’organizzazione segreta “Gladio”, coordinata dalla CIA, e Pavone individua nei partigiani di sinistra “la generazione lunga” della difesa della democrazia italiana, attiva fino alla contestazione giovanile del Sessantotto.

Inquadrato in tale contesto storico di “battaglia della memoria”, Pedullà valuta il romanzo grosso di Fenoglio come un’opera a tesi: Per dirla senza troppi giri di parole, Il libro di Johnny deve essere riconosciuto come una delle più riuscite macchine ideologiche della letteratura italiana moderna[47]. E paragona la funzione di Fenoglio a quella svolta da Manzoni con I promessi sposi, due maestri nel presentare le proprie convinzioni come una verità inscritta nelle cose[48].

Il romanzo “grosso” èuno dei frutti più evidenti della guerra fredda e del durissimo scontro politico e culturale tra Oriente e Occidente che in tutta Europa caratterizzò gli anni Cinquanta. Fenoglio sentiva molto la contesa, e della sua passione antisovietica si trova più di una traccia nel suo grande ciclo romanzesco[49].

Anche il comunista Corradi del romanzo, figura ispirata al professore Leonardo Cocito, è presentato con un atteggiamento ambiguo per il suo legame con l’URSS, e i comunisti sono descritti cinici e antidemocratici.

Nel 1952, quando permane un clima di ostracismo verso i partigiani, la pubblicazione de I ventitre giorni della città di Alba suscita forti polemiche da parte degli ex- garibaldini, che lo giudicano denigratorio dei valori della Resistenza, ma anche fastidio da parte di alcuni ex-autonomi.

Al momento dell’uscita del libro, lo stesso professor Chiodi non comprende il modo in cui Fenoglio ha scritto della storia partigiana: Non riuscivo a capire che cosa legasse la sua autoaffermazione da “raffinato”, in cui la diretta intenzione al classico si accompagnava talvolta a compiacimenti da dandy, e la struttura di violenza pietrificata nella brutalità che uomini e cose prendevano uscendo dalle sue mani.

Contemporaneamente alla pubblicazione di quel racconto, Fenoglio scrive La paga del sabato[50], la storia di Ettore ex partigiano che non si adatta alla vita normale del dopoguerra, fa fatica a trovare un lavoro e si lascia coinvolgere in affari poco puliti. Quando decide di sposarsi e regolarizzare la sua relazione con Vanda, vuole uscire dal giro, ma muore in un beffardo incidente.

Con La paga del sabato, commenta Pietro Chiodi, Fenoglio diventa uno “scrittore civile” in quanto fa vedere il dramma del destino assunto necessariamente da una generazione, incolpevole, ma erede di colpa e la violenza è subita. Questa interiorizzazione tragica prende la forma del “ritorno” di Fenoglio alla Langa, cioè del ritorno, dopo l’educazione letteraria, al fango antico delle colline, impastato da secoli di sudore e ora di sangue[51].

Nel corso degli anni Fenoglio abbandona la fede monarchica per avvicinarsi al partito socialista, avendo una grande stima del segretario Pietro Nenni, ma rimane convinto anticomunista.

 

Una nuova generazione

Dopo gli anni della contestazione studentesca, delle lotte operaie e del terrorismo, quando diventa egemone la concezione liberista in economia e in politica e l’individualismo nella dimensione sociale, i romanzi diFenoglio Una questione privata e Il partigiano Johnny assumono un valore emblematico per dare una nuova interpretazione della Resistenza: i comportamenti individuali dei partigiani  diventano preminenti sulle azioni militari e vengono giudicate ideologiche in senso negativo le componenti politiche proprie della lotta di Liberazione, in netta contrapposizione con i comunisti, che hanno sopportato il peso maggiore in numero di uomini e di caduti della Resistenza.  .

Il successo letterario postumo di Fenoglio è il segno del cambiamento della società e dell’emersione di una nuova generazione, che sostituisce quella lunga dei partigiani secondo la definizione di Pavone. Il sistema comunista rivela la sua crisi soprattutto con la primavera di Praga e la contestazione studentesca e operaia si riversa anche contro l’autoritarismo di marca sovietica e contro il partito comunista italiano.

Si affermano una nuova soggettività giovanile di utopie morali, che i libri di Fenoglio alimentano con il racconto di destini individuali nella guerra civile e patriottica. E’ la purezza sentimentale dei protagonisti dello “scrittore barbaro” (come lo ha definito Vittorini), scevro da ideologie e retoriche, che conquista i giovani lettori. Fenoglio – Robin Hood è lo scrittore che dà forma di narrazione epica alla scelta “ribelle” di un giovane solitario.

 

(Saggio pubblicato sul n. 72 del “Quaderno di storia contemporanea



[1] Cfr. C. Pavone, Una guerra civile, cit. cap. VIII “La politica e l’attesa del futuro”, pp.515-592.

[2] Cfr. C. Pavone, cit., cap. II, “L’eredità della guerra fascista”, p. 98-99.

[3] Fenoglio, Il libro di Johnny, Einaudi, Torino, 2015.

[4] Cfr. G. Pedullà, “Le armi e il ragazzo” in FenoglioIl libro di Johnny, cit., pp. LVI-LXI.

[5] P. Chiodi, Fenogio scrittore civile in “La Cultura”, anno III, fasc. I, 1965, ripubblicato in I quaderni Nuovi Incontri n. 4 Fenoglio inedito, Asti, 1968, p. 40

[6] B. Fenoglio, Il partigiano Johnny, Einaudi, 1968, p. 47.

[7] Cfr. C. Pavone, cit., cap. VII, “La violenza”, pag. 449-475-.

[8] B. Fenoglio, Il partigiano Johnny, Einaudi, 1968, op.cit., p. 154

[9] Ivi, p. 55.

[10] Cfr. C. Pavone, Una guerra civile. Saggio sulla moralità della Resistenza, Einaudi, Torino, 1991, cap. I, “La scelta”, p. 3.

[11]  Cfr. Pavone, cit., cap. IV, “La guerra patriottica”, p. 197.

[12] Cfr. Pavone, cit., cap. III “Le vie di una nuova istituzionalizzazione”, pp.138-139, pp.151-155.

[13] B. Fenoglio, Ivi, p.117.

[14] B. Fenoglio Ivi, p.367-8.

[15] Fenoglio, Il libro di Johnny, Einaudi, 2015, Seconda parte, capitolo diciottesimo, p. 400.

[16] Cfr. C. Pavone, cit., cap. VII, “La violenza”, pp. 413-512.

[17] Cfr. C. Pavone, cit., cap. IV, “La guerra patriottica”, p. 215.

[18] B. Fenoglio “Golia” in Un giorno di fuoco, Garzanti, 1963, p. 113.

[19] B. Fenoglio, ivi, p.119.

[20] B. Fenoglio, ivi, p. 138.

[21] B. Fenoglio, “Il vecchio Blister” in I ventitre giorni della città di Alba, op. cit. p. 79-95.

[22] B. Fenoglio, ivi, p. 79.

[23] B. Fenoglio, ivi, p. 95.

[24] B. Fenoglio, ivi, p. 12.

[25]B. Fenoglio, I ventitre giorni della città di Alba, Einaudi, Torino, 1952, p. 11. Nel capito XVIII de Il partigiano Johnny e nei capitoli XX-XXI dell’edizione completa del 2015 del romanzo “grosso”, il libro di Johnny, la descrizione dell’episodio assume una forte cadenza epica.

[26] Fenoglio, Il libro di Johnny, cit. Seconda parte, capitolo XIX, p. 417.

[27] Fenoglio, Il libro di Johnny, Einaudi, 2015, cit., p. 458.

[28] Fenoglio, ivi, p. 518.

[29] Fenoglio, ivi, p. 539.

[30] Fenoglio, Ivi, p. 571.

[31] Fenoglio, ivi, p. 628.

[32] Fenoglio, ivi, Seconda parte cap. XXXI, p. 630.

[33] B. Fenoglio, Una questione privata, in Un giorno di fuoco, op.cit., pp. 175-297, ristampato Una questione privata Garzanti, Milano, 1965.

[34] B. Fenoglio, Primavera di bellezza, Garzanti, Milano, 1965.

[35] Fenoglio, cit., Seconda parte cap. IX p. 305.

[36] Fenoglio, ivi, cfr. cap. XLI.

[37] P. Chiodi, cit. pp. 39-40.

[38] B. Fenoglio, I ventitre giorni della città di Alba, cit., p. 14.

[39] B. Fenoglio, ivi, p. 13.

[40] D. Maestri, Invenzione e realtà nell’”Ur Partigiano Johnny” di Fenoglio, in “Asti contemporanea n.7, Israt, 2000, p. 45-49.

[41] G. Pedullà, “Le armi e il ragazzo” in FenoglioIl libro di Johnny, cit., p. LXXVI.

[42] (a cura di) Maria Corti, Beppe Fenoglio Ur partigiano Johnny, Einaudi, Torino, 1978.

[43] (a cura di) Dante Isella, Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny, Einaudi,Torino, 1992.

[44] G. Pedullà, ”Il ragazzo e le armi”, in Fenoglio, Il libro di Johnny, op. cit. pp.V-LXXVI.

[45] Cfr. D. Lajolo, Fenoglio. Un guerriero di Cromwell sulle colline delle Langhe, Rizzoli, Milano, 1978, cap. IV “L’esercito, la politica, la guerriglia partigiana” pp. 144-183.

[46] B. Fenoglio, Il partigiano Johnny,cit., p. 18.

[47] G. Pedullà, cit., p. XLIII.

[48] G. Pedullà, ivi, p. XLIII.

[49] G. Pedullà, cit., p. XLIII.

[50] B. Fenoglio, la paga del sabato, Einaudi, Torino, 1969.

[51] Cfr. P. Chiodi, op. cit.

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