Associazione Davide Lajolo Odv

Saggi

03/04/2024

Letture della PASSEGGIATA RESISTENTE

14 aprile 2024 a Vinchio

IL GIURAMENTO DEI GIOVANI PARTIGIANI DI VINCHIO

Davide Lajolo Ulisse, primavera 1945

A mezzanotte dovevamo trovarci tutti sullo spiazzo del castello da tempo diroccato.
Ed al tocco della mezzanotte eccoci radunati sull’erba.
È una notte senza luna. Ma bastano le stelle a farci riconoscere l’un l’altro.
Siamo diciannove. Anche troppi per la prima adunata.
Parlo loro piano semplicemente.
Mi ascoltano silenziosi, si fanno più vicini

- Anzitutto bisogna che tra di noi esista una fiducia reciproca, che ci vogliamo bene, che siamo veramente tutti d’accordo. Io non sono il capitano. Io sono uno di voi, un amico che vi può guidare. Il passo che stiao per fare è duro. Noi ci apprestiamo senza armi a ribellarci ad un nemico che ne ha in abbondanza. La guerra può ancora essere lunga, può avere ancora alterne vicende. Giochiamo la pelle, non solo nostra, ma mettiamo a repentaglio le nostre case, le nostre famiglie, i nostri paesi. Tutti voi pensateci un istante. Una volta presa la decisione bisogna andare fino in fondo. Chi diventa partigiano non può mollare, non ci sono più né licenze né congedi, si lotta fino alla liberazione del nostro paese.
Un momento di silenzio. Sullo spiazzo erboso le stesso trovavano diciannove ragazzi che giocavano una grossa partita.
I loro volti erano seri e quadrati. Ognuno ragionava dentro di sé. Mi guardavano.
Allora dissi: - Chi è deciso a fare da domani il partigiano si alzi.
Fu uno scatto solo. Si alzarono tutti con me.
Ritornò il silenzio. Sotto, le case avevano tutti i lumi spenti, era l’ora profonda del sonno; le mamme, i papà, i bambini riposavano nel chiaro silenzio notturno.
Poi nel cielo un rombo cupo di motore. Era la guerra. Gli aeroplani angloamericani si dirigevano su Torino.
- Chi ha delle armi?
A conti fatti vennero fuori sette moschetti, cinque pistole: gli altri si sarebbero armati, per il momento, con fucili da caccia.
Che notte serena era quella.
Avevo ritrovato la via per riacquistare fiducia in me steso: per la prima volta i soldati che venivano con me non erano stati chiamati da cartolina precetto, non andavano malvolentieri a combattere contro chi non conoscevano, ma sentivano, anzi, essi stessi i motivi che li spingevano a battersi.

Brano tratto da “A conquistare la rossa primavera

I RAGAZZI PARTIGIANI

Tra i primi c’è CARLO, che sceglie come nome di battaglia di Tarzan perché gli è piaciuto molto il film sull’eroe della foresta. Ha un carattere allegro, gli piace viaggiare sul cofano della macchina con il fucile Scotti in una mano e la rivoltella Stayer nell’altra.
Durante il rastrellamento del 2 dicembre 1944 si nasconde in una cantina in paese. Viene catturato con Natalino Piae Vittorio Benzi,un ragazzo di 17 anni.
Sotto tortura Tarzan non parla. Vengono tutti deportati a Mauthausen.
Vittorio una sera viene portato via dal capo Stube e non torna più nella baracca.
Carlo, al ritorno, testimonia l’orrore del Lager nel libro “Morte alla gola”. Anche Pia scrive “La storia di Natale”.

GINO MARINO, un giovane di Cortiglione, fermato a un posto di blocco, cerca la fuga nel bosco e viene freddato da un ufficiale fascista.
Ti cacciaron su un / autocarro, ma come / potevi andare incontro / alla morte così fermo? / Ti buttasti / all’avventura / della fuga ed un mitra / nemico ti piegò / sulla vita nel sangue.
Davide Lajolo

FISIO è un giovane di leva, ha il fisico compatto del contadino, sa prendere la mira ed è pronto a sparare.

PIERO, serio e concentrato, si dimostra coraggioso nell’assalto e nei colpi di mano. E’ un guastatore, che sa piazzare e disinnescare gli ordigni.

TOJU guida spericolato la motocicletta e si sposta da un luogo all’altro senza avere paura. Non cede mai alla stanchezza. Accompagna Ulisse agli incontri più pericolosi, gli fa da guardia del corpo.

ENEA è un maestro elementare, ma appena il movimento partigiano prende corpo, lascia la scuola e va a combattere.

ARAMIS è il contadino che ha succhiato l’antifascismo dalla radice della sua frazione “la Russia” di Cortiglione, un uomo tutto d’un pezzo, di fredda tenacia, senza compromessi e senza perdoni.

QUADRATO è uno stimato commerciante di Nizza. Ha già le tempie grigie, ma è subito al centro delle prime lotte partigiane.

I ragazzi si incamminano a scaglioni con Ulisse per andare all’appuntamento con l’ISPETTORE DELLE BRIGATE GARIBALDINE nella Valle della morte. Non c’è la luna. Il cielo estivo era sereno, percorso da qualche stella. I vigneti, allineati nell’ombra, paiono soldati in fila che aspettano solo un cenno per seguirci.

Verso il fondo della valle la guida fa un fischio. E’ il segnale, si scende. L’ispettore delle brigate Garibaldi è giovane, magro, alto, affilato. Ha un viso pallido, che in quel buio risalta di più

Il suo nome di battaglia è Costa. Ci dice che dobbiamo procurarci le armi. Ulisse si offre per il colpo di mano alla caserma di Asti.

GATTO È alto che non finisce mai. Biondo e arricciolato, un viso duro e lungo con due occhi celesti che vogliono aprirgli due finestre azzurre di bontà in un cielo sempre duro e grigio. Quando cammina corre, con quelle due gambe dinoccolate ed infinite, se ti afferra con le sue mani sei in un cerchio di ferro e devi soffocare. Fa il partigiano d’istinto, è abile con le armi. Da solo va a cercare i tedeschi in missioni rischiosissime. Con gli uomini parla poco, sempre serio. Eppure questo uomo tagliato tutto d’un pezzo ha preso loro il cuore e con lui sono pronti sempre notte e giorno a fare la guerra ai fascisti...

Il commissario NESTORE è uno studente di lettere e un garibaldino fierissimo. D’estate con l’impermeabile di gomma celeste, poi d’inverno con la mantellina nera lunga ed in testa un colbacco bianco. Ha un viso grassoccio da arciprete e ha la calma olimpica del suo carattere tranquillo. Quando va proprio male, alza il bianco degli occhi al cielo e invoca dal Dio degli eserciti misericordia e luce sui problemi partigiani. Cammina tra la neve con gli scarponi bucati, sotto il sole con il pastrano, ma non s’arresta mai.

ROCCA è un ragazzo bruno, piccolo, tarchiato coi capelli arricciolati ed il viso duro coi segni marcati d’uno che gli sono stati scolpiti i caratteri piuttosto in fretta. E’ volitivo – non riesce a stare fermo un istante, scatta sempre, lavora, canta, bestemmia e se s’arrabbia diventa terribile e fragoroso come un temporale. Ma se gli occhi sorridono, allora il suo è il viso di un bambino ancora buono, che ha dentro le pupille una chiarezza estrema, una sincerità vergine e si fa voler bene. Ha nel sangue l’istinto della guerra partigiana

FLAVIO è il partigiano elegante, che ha elegante anche la pistola automatica. Ha i calzoni con la riga anche dopo i combattimenti, i capelli lucidi di brillantina e gli occhi scuri in un bel viso asciutto. In combattimento Flavio è l‘esempio, calmo e preciso, è in testa senza perdere mai la calma e i suoi garibaldini sanno che si possono fidare di lui e lottano sempre con onore”.

Nella 45ma brigata Garibaldi ci sono ACHILLE e NELSON, SARDI, e tanti   ragazzi in gamba, che hanno abbandonato fabbriche e impiego per fare i partigiani. La chiamano la brigata operaia, perché sono quasi tutti operai delle fabbriche di Asti.

Il commissario TINO ha il volto severo di un padre di famiglia, buono ma non disposto a concedere a nessuno di passare il segno.


RASTRELLAMENTO

Notte del 2 dicembre 1944 Comando di Mombercelli. La voce che Ulisse sente al telefono è quella di MARISA, la figlia del commissario Tino, una ragazzina coraggiosa.

Marisa parla calma, sicura, anche quella notte, e dà notizie sui reparti tedeschi che vogliono sfondare sul Tanaro. La guerra partigiana si fa più terribile.
È l’inverno più duro. NON MOLLARE
 

LE RAGAZZE PARTIGIANE

MARISA OMBRA: A 17 anni sono obbligata a scegliere e a crescere. Sono io a decidere cosa fare, come muovermi, anche se non ho esperienza alle spalle.

Ad Agliano, in una ampia cucina contadina, si svolge una bellissima riunione di una trentina di donne e qualcuna mi chiede di spiegare cosa sono i partiti. Rispondo come so, lavoro di immaginazione. Racconto quello che le mie speranze e i miei desideri mi suggeriscono. L’unica cosa vera e certa è che si deve reinventare tutto.

OLGA STROPPIANA  Le donne sono solidali con noi che facciamo le staffette e che abbiamo aperto un ospedale a Mombercelli per curare i feriti. So che, se mi prendono, non devo parlare e so anche che fine potrei fare.
Se parlo ci vanno di mezzo i ragazzi. Non posso farlo”.

NUCCIA REGGIOfaccio la staffetta nella brigata di mio fratello, Gatto. So che c’è la solidarietà della gente. Cerco aiuto da quelli che lo possono dare. Uomini, donne senza differenze. E’ una cosa tanto  grande che non si può dire.
Io sono stata catturata dai fascisti, insieme a mio padre.  Ci hanno liberati con uno scambio di prigionieri.

ELSA MASSIMELLISono molto giovane, ma voglio aiutare mio fratello, Nestore, che comanda i garibaldini di Cortiglione. Ho scelto come nome di battaglia Fiamma.
La prima volta che ho fatto da portaordini alla brigata di Ulisse, lui mi ha detto che ho il viso da bambina buona.
 

GRAZIE ALLA DONNE (Aprile 1945)

A tutti i cittadini vogliamo additare questi nuclei compatti di donne che in ogni momento ci sono state vicine, coll’incoraggiamento e con l’azione.
Nuclei segreti e perciò pericolosi, nuclei decisi e volonterosi quanto noi.
Sono i gruppi difesa donne che ci hanno fatto gli abiti coi paracadute, che ci hanno medicati, curati, incoraggiati.
A tutte le nostre fedeli compagne rivolgiamo il nostro ringraziamento più caldo per quanto hanno fatto e vogliamo esprimere il nostro più sincero augurio per quanto faranno ancora con i partigiani e per la nostra santa causa.
 

LIBERE SEMPRE IL MESSAGGIO DI MARISA ALLE RAGAZZE DI OGGI

Pur in mezzo a tutte le difficoltà, io vedo il cammino delle donne come un grande affresco con grandi folle di donne, tutte diverse l’una dall’altra, che danno di sé un’immagine di festosa compattezza.
Noi abbiamo vissuto nella storia, eravamo all’interno di un percorso collettivo verso la libertà con l’impegno di inventare la democrazia dopo la dittatura, di conquistare quei diritti, che voi giovani dovete oggi difendere ed estendere.
Adesso tocca a voi andare al di là di ogni apparenza della società dell’immagine.
Vi lascio la mia conquista di libertà, di responsabilità e di dignità. Ricordatevi di essere libere  e liberi sempre


NELLA TANA

Dopo aver dato l’ordine ai partigiani di sganciarsi, di andare verso le Langhe o di nascondersi, in pochi ci allontaniamo dal comando di Mombercelli con un camion guidato da Enea ci dirigiamo verso NOCHE.
Incontro mia moglie che in bicicletta con la bambina spera di trovare un riparo in una cascina di Agliano. La bambina è impressionata da tutti quegli uomini sulla strada, ma quando mi vede mi sorride: “Pà non andare più via”. Allora il cuore mi scoppia.
Non c’è tempo. Rosetta si allontana sulla bicicletta e vedo la ciocca di capelli di mia figlia sventolare nel vento gelido, in mezzo alla disperazione delle fucilate. Io ho la responsabilità di rimanere in zona.
È notte, la luna non fa luce e le stelle sono rare. Con Sergio, Quadrato e Costa seguo un uomo, che offre un ricovero. Fa freddo, lo sten nella mano è gelato. Costa ha la febbre, non parla, non si lamenta.
Mi sprofondo in un buco e sento sotto la terra umida. Poi scende Sergio con un tonfo, bestemmia. Poi Costa, leggero, come se fosse tutto fatto solo di febbre.
E i garibaldini, tutti i miei garibaldini?
Si sentono le fucilate. Si calano giù anche dei ragazzi.
Dico all’uomo che ostruisca l’imboccatura. Il contadino lascia solo un foro per far passare l’aria. Nella tana non si può stare in piedi.
Accendo un cerino e lo passo sul viso degli uomini che si sono chiusi nella tomba. Ragazzi di Noche, di sedici, diciassette anni, non sono partigiani, ma sono scappati perché i tedeschi portano via tutti. Si sistemano in un anfratto della tana. Faccio la raccomandazione che stiano in silenzio, che non si lascino prendere dal panico.
Mi accoccolo al mio posto. Lo sten è lì, lo sento appena allungo la mano; ho la pistola al fianco senza sicura.
Do la mia coperta a Costa che ha la febbre alta. Mi dice: “Tu almeno hai visto la tua bambina, la mia è da un anno che non la vedo”. E tace. Le due bambine vivono in quella tana, la mia e la sua, nel nostro respiro e nella nostra tristezza. Più sotto i ragazzi si sono addormentati, ma è un sonno leggero.

È l’alba. D’un tratto una maledetta mitraglia, molto vicina, sgrana colpi su colpi. Sparano contro le case per terrorizzare la popolazione. I ragazzi si appiattiscono sul fondo. Sergio piazza lo sten all’imboccatura. Anch’io tolgo la sicura del mio..
Curvandomi presso il buco, con la testa rovesciata, riesco a intravedere i tedeschi sulla strada. I battaglioni delle brigate nere si chiamano l’un l’altro. Sento il comandante tedesco che in cattivo italiano urla che sa che Ulisse e gli altri del comando sono nascosti in questa zona.
Tre uomini si avvicinano. Dentro siamo pronti con lo sten. Il respiro dei ragazzi è affannoso.
Poi un grande urlare nella casa di fronte e voci di gente che si lamenta. Hanno messo al muro la famiglia del contadino. I militi italiani puntano i fucili e due tedeschi, con il frustino, sferzano il viso dell’uomo. La sua faccia è insanguinata. Gridano: “Vi fuciliamo tutti”. Le donne scoppiano in un pianto dirotto, ma il contadino risponde “Non so nulla”, Ancora un colpo di frustino e il contadino cade a terra con una macchia di sangue sul volto. Lo colpiscono con i moschetti.

Una fitta dentro e l’ispirazione violenta di buttarmi fuori e sparare tutti i colpi dello sten e della pistola. Passano istanti di morte.
Poi torna il silenzio. I ragazzi sono intorno a me con i volti illividiti dal terrore. Uno ha la tosse, lo avvolgiamo nella coperta per evitare che il colpo di tosse perda la vita di tutti.
Poi tornano le voci del capo tedesco che ordina alla sentinella di rimanere sul posto.
Non abbiamo da mangiare. Costa ha sete per la febbre alta. Siamo intrisi di sabbia, uno vicino all’altro. I ragazzi sono stremati con le mani serrate. Io sono responsabile della loro vita. Mi faccio forte, devo salvarli.
Nella notte sentiamo i fischi dei rastrellatori che si chiamano.

Inizia il secondo giorno. Fuori c’è ancora la sentinella. Si sentono delle raffiche. “Bisogna resistere”, dice Costa piano.
Arrivano i militi neri carichi di roba rubata nelle cascine. Cantano e urlano e portano con loro uomini e donne. Sparano a casaccio.
Un ufficiale grida. “Siamo sicuri che i capi sono nascosti in queste tane. Domani portiamo i cani poliziotto”.
Quando si allontanano, un ragazzo si avvicina carponi: “Non resisto più, voglio uscire”. Prima che io gli risponda Sergio lo afferra per un braccio e lo riporta in fondo.

Le ore continuano a cadere nella tana sempre più cupe. Anche Sergio è sfinito. Costa si chiude la bocca con il fazzoletto per non far sentire i colpi di tosse.
Accendo un cerino e guardo i ragazzi: “Nessuno deve tentare di uscire stanotte. Chi si muove tradisce gli altri. La regola è una sola”. E metto la mano sulla pistola.
Il cerino si spegne tra le dita. Ne accendo un secondo. I ragazzi guardano la pistola. Dico “Bisogna resistere e insieme ci salveremo”. Il cerino muore, ma negli occhi dei ragazzi qualcosa si è riacceso.

È la terza notte dentro. Non abbiamo né da mangiare né da bere.
Non riesco a dormire. Penso alla mia bambina con i suoi occhi vivi, i capelli leggeri, le piccole mani. Immagino gli occhi disperati di mia moglie, i capelli bianchi di mia madre e di mio padre.
Davvero devo morire?
Poi sento una voce fischiare tra i denti: “State fermi, la sentinella è qui fuori. Forse partono domani”.

Terzo giorno, ancora senza pane, senza acqua. Tutti sono sfiniti.
Alla sera c’è una novità. Sentiamo i cani abbaiare e le grida dei tedeschi. Un cane viene verso la tana, ma è un cane da pagliaio e non segnala i nostri odori. I cani si allontanano.
È notte. Un gran frastuono, un rotolare di sassi. Il foro si è aperto. Siamo coperti di terra e di sassi e sopra di noi il cielo. “Uscite fuori siete scoperti”.
Appena fuori barcolliamo, ma il frizzo freddo dell’aria ci tiene in piedi. Dove andare?
Uno dei ragazzi ci dice: “Venite con me”. Ci incamminiamo tra un filare e l’altro. C’è l’eco di qualche fucilata. Passiamo dietro alle case di Vinchio, arrestandoci ai rumori. Finalmente arriviamo alla casa del ragazzo. Sua mamma ci accoglie, non è spaventata.
Poi cerchiamo altre tane nei boschi.
Risorgono le brigate garibaldine, che vincono, e viene la primavera più bella:

È il giorno della Liberazione. C’è il sole e, attorno, le colline sono illuminate, tutte le colline tante volte percorse nel vento, nella neve con il cuore in gola ed il terrore a martellarci le tempie.
Ho ritrovato i compagni, il fresco viso dei miei garibaldini nel fiato delle mie colline.
Ed il viso dei nostri morti, pallido e sereno.
Dopo i mesi neri della guerra, questa terra è più mia perché l’ho amata fino allo spasimo.
Mi avvio sulla strada festosa di ciliegi in fiore.

Davide Lajolo Ulisse A conquistare la rossa primavera

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