18/08/2017
Il senso di fallimento e il ciclo della natura
La Stampa 18/8/2017
Nelle giornate d’agosto, quando il lavoro della vigna lascia un po’ di tempo, anche i contadini fanno una sosta. In piazza parlano dell’andamento della campagna, della raccolta delle nocciole, della gradazione delle uve. Quest’anno il grande tema è quanto la siccità incide sul prodotto. Raramente i contadini sono soddisfatti del loro guadagno, anche oggi che i tempi sono tanto cambiati e il vino va all’estero, sono abituati a sottolineare il mancato profitto. Con un linguaggio attuale si potrebbe dire che i contadini, più di altri lavoratori, fanno i conti ogni anno con il fallimento delle loro aspettative. Eppure sanno che devono ricominciare ogni autunno con la semina, a gennaio con la potatura e continuare a lavorare perché la natura ha i suoi fallimenti ma anche i suoi cicli di produzione. Tutto ricomincia ogni anno, anche se i cambiamenti climatici oggi stanno sconvolgendo questo andamento millenario. Noi, invece, che abbiamo perso il contatto con la terra, viviamo il fallimento non solo come una fase, ma come una condanna, un taglio netto, uno scivolamento verso la depressione, una sfiducia nella vita. Oggi, quando sembra che tutto sia più faticoso, un fallimento può segnare una vita. Un vecchio contadino mi dice: “Noi siamo diventati forti a zappare la terra a testa bassa e invece i nostri giovani si scoraggiano facilmente. Cosa c’è di sbagliato?”