18/02/2011
Dignità della resistenza
Pubblicato su "La Stampa"
Ho riletto l’ultima lettera scritta alla fidanzata il 4 maggio 1944 dal partigiano Remo Dovano, operaio Way Assauto, comunista, partigiano. Le parole di Remo sono semplici e dolci, parole di un ragazzo di 24 anni, che accettò di morire per non tradire i suoi compagni. E’ stato arrestato mentre distribuiva con altri tre compagni il 1° maggio in borgo S. Pietro un piccolo volantino contro la guerra. Sottoposto per quattro giorni a terribili torture dai fascisti dell’Ufficio politico investigativo, non rivelò i nomi degli altri partigiani e venne fucilato al poligono di tiro di Sessant. Suo padre nel luogo in cui morì piantò un albero.
E mi sono chiesta che cosa sarebbe stata l’Italia se non si fosse liberata dal fascismo, se non avesse avuto tanti Remo Dovano che hanno fatto la scelta più difficile, quella di rischiare la propria vita per un’ideale, se i giovani, rimasti senza ordini, non avessero saputo reagire alla disfatta dello stato e resistere all’esercito tedesco occupante, se la popolazione non avesse protetto i suoi figli partigiani.
Molti sminuiscono il portato storico e morale della Resistenza, ma non si chiedono che cosa sarebbe stata la nostra democrazia senza quel senso di dignità che quelli come Remo hanno dato a tutta la nazione.
Non so se noi siamo stati eredi all’altezza dei nostri tempi.
(La Stampa, 26 aprile)