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La parentesi antifascista - Le testate piemontesi 1945-1948

18/02/2011

La parentesi antifascista - Le testate piemontesi 1945-1948

Marco Albertaro

Seb 27 editore, 2011

Introduzione

Nella pagine che seguono è raccontata una storia parziale. Un pezzetto di storia. Non si tratta infatti di una storia dei tre principali quotidiani piemontesi; non è una storia di Torino nel biennio 1945 – 1947; non è nemmeno una storia dei comunisti torinesi in quel biennio; e non è, infine, un contributo a una biografia di Davide Lajolo, forse la figura più presente in questo volume (la stessa periodizzazione scelta è dovuta al periodo che lo scrittore trascorre nell’edizione piemontese dell’«Unità»). Allo stesso tempo, però, contiene tutti questi elementi.

Lo sguardo dei tre fogli torinesi («La Stampa», la «Gazzetta del Popolo» e «l’Unità») consente di leggere chiaramente questa fase cruciale della storia d’Italia, sebbene da un osservatorio locale. Le tensioni e gli slanci della Resistenza che animano quotidianamente le pagine dell’«Unità» devono infatti ben presto fare i conti non solo con i mutamenti dello scenario politico nazionale, ma anche, sul terreno del giornalismo, col risorgere di quei quotidiani che avevano avuto una forte compromissione col fascismo e che approderanno presto a posizioni conservatrici, assai lontane da quelle che avrebbero voluto vedere prevalere nell’Italia post – 25 aprile le forze antifasciste.

Dopo lunghi anni di clandestinità e di lotta contro il regime le aspettative di rinnovamento si riversano copiose, con fiumi d’inchiostro, sulle pagine dell’«Unità», ma anche su quelle dell’altra stampa antifascista. E Davide Lajolo è proprio uno degli animatori di quello spirito partigiano che per tutto il biennio 1945 – 1947 aleggerà sull’«Unità». Proprio lui: fascista appassionato trasformatosi dopo una crisi esistenziale e politica in capo garibaldino e poi in fervente e sincero comunista. La sua figura è stata scelta qui come emblema di una generazione ed il suo giornalismo come un saggio di quella tensione civile, politica e morale che leggeva la battaglia politica e culturale quotidiana come una continuazione della Resistenza in tempo di pace. Il suo giornalismo garibaldino è l’arma che rimane a disposizione (a lui ed ai suoi sodali) dopo aver rasato la barba, dismesso la divisa e riposto il mitra in un Paese distrutto dalla guerra; in un clima politico di entusiasmo ma anche di angoscia per il futuro.

Le lenti dei tre quotidiani su cui si è lavorato consentono, come spero apparirà, di leggere quel biennio di incertezze con uno sguardo penetrante. Si tratta infatti di capire le aspettative, i sogni, i progetti: è per questo che si è riflettuto in particolare sul progetto culturale che anima i tre fogli (nel capitolo dedicato alle terze pagine) e sulla loro immagine di Costituente ideale. Quest’ultimo tema è stato scelto proprio perché unisce la riflessione su un argomento cardine della ricostruzione con la possibilità di comprendere l’elaborazione politica più pura, sincera e non mediata, dei tre giornali. Il quadro che ne esce è piuttosto articolato e testimonia i differenti orizzonti verso cui i tre giornali si muovono. E ciò appare chiaramente proprio perché tutti e tre sono liberi di immaginare un’istituzione ed i suoi compiti prima che essa si trovi a dover concretamente lavorare. Dopo, una volta insediata l’Assemblea ed iniziati i lavori, l’elaborazione ideale dovrà lasciare il passo al compromesso politico e l’attenzione verso i suoi lavori andrà, col passare del tempo, scemando.

Si sono insomma presi in esame l’edizione piemontese dell’«Unità», «La Stampa» e la «Gazzetta del Popolo» come terreni politici e culturali, in una contesa che ha tratti duri – spesso durissimi – ma che riconsegna oggi una pagina di giornalismo che viene voglia, comunque, di rimpiangere. 

 

Il periodo su cui le pagine che seguono si cimentano è una vera e propria parentesi: una parentesi antifascista, nel giornalismo e nella società. Dopo il tempo della lotta armata, della sconfitta del fascismo e della cacciata del nazismo, l’Italia si trova ad un bivio: rinnovare il Paese facendo tabula rasa del passato oppure salvare l’impianto dello Stato prefascista apportandogli qualche modifica.

È inutile dire che l’edizione piemontese dell’«Unità» così come il complesso delle forze antifasciste di sinistra optava per la prima ipotesi, mentre la compagine conservatrice, che avrà a Torino nella «Stampa» e nella «Gazzetta del Popolo» due notevoli casse di risonanza, era compattamente schierata sulla seconda. In fondo, nessuno dei due schieramenti uscì completamente vittorioso da quella aspra contesa. Ciò che però è certo è che dalla parentesi antifascista uscirono sconfitte più duramente le forze del rinnovamento.

Dopo una prima brevissima fase di completa egemonia delle testate e delle forze antifasciste, la ricomparsa dei giornali compromessi col fascismo e la ricomparsa alla luce del sole del blocco sociale e politico conservatore, finirono per porre fine ad uno slancio riformatore che affondava le proprie radici nella Resistenza. La parentesi non si chiuse però bruscamente. Non c’è infatti un atto, un fatto, una data nella quale è possibile indicare la definitiva chiusura della parentesi. Essa fu infatti chiusa lentamente, con piccoli atti, con operazioni volte ad insinuarsi nel senso comune della popolazione e con un sapiente dosaggio di retoriche: in primis quella del ritorno alla normalità e poi quella del bisogno d’ordine. Entrambe condite dal richiamo alla paura dell’ignoto corso che l’Italia avrebbe dovuto affrontare se le sinistre della Resistenza si fossero assicurate l’egemonia nel Paese. Sono frequenti, in particolare nel periodo pre – Costituente i richiami sui quotidiani conservatori ai pericoli che avrebbe comportato l’abbandono del noto (la monarchia e lo Stato prefascista) per l’ignoto (la Repubblica ed una nuova struttura istituzionale e politica dello Stato).

Se è impossibile determinare una data in cui la parentesi antifascista si chiude, è invece certo che essa viene messa esplicitamente e pubblicamente in discussione non tanto dalla ricomparsa dei  rinnovati quotidiani, che era anzi indice di una pluralità di voci, quanto piuttosto dal fatto che interessi economici precisi siano riusciti a riassumerne il controllo imprimendo loro un certo indirizzo.

Quel momento segna l’inizio della fine del progetto di una nuova Italia.