15/02/2005
La risorsa della memoria contadina - A proposito di Nuto Revelli
di Laurana Lajolo per il Convegno di antropologia 2005 di Rocca Grimalda.
Occupandomi nella dimensione della didattica della storia di trasmissione della memoria alle nuove generazioni e delle relazioni tra quella e le generazioni precedenti, riconosco come mio maestro Nuto Revelli per il metodo sperimentale e l’impegno civile di far rivivere la memoria. Revelli infatti non ha fatto un’operazione di ricerca e di conservazione della memoria in senso accademico e scientifico, anzi il suo metodo è stato criticato proprio da alcuni studiosi, ma ha piuttosto inteso riconoscere la memoria contadina, quella non scritta e non ufficializzata nella tradizione colta, come una componente essenziale della storia nazionale. Le sue ricerche partono dall’esigenza prima di dare voce a quei soldati che, insieme a lui ufficiale dell’esercito, erano stati traditi dal fascismo e avevano sofferto la tragedia della Russia; poi, gradualmente, è stato il tema della guerra a riempire i nastri del suo magnetofono, come lo chiamava lui, e dei suoi fogli scritti.
La guerra è stato il nucleo di vita e di pensiero di Nuto: una guerra, a cui in un primo tempo aveva creduto e che poi aveva rifiutato attraverso l’esperienza partigiana, e che comunque gli era rimasta addosso anche nei segni delle ferite sul volto. La guerra gli era sembrata la grande catastrofe storica e aveva voluto capire che cosa la seconda guerra mondiale, ma anche la prima, avesse rappresentato per i giovani contadini mandati a morire senza saperne la ragione.
Revelli comincia così la prima raccolta di testimonianze, insieme alle lettere dall’ultimo fronte. Interroga i contadini del Cuneese per capire che cosa avevano provato, ma anche per capire lui stesso le ragioni della sua formazione e dei suoi comportamenti, lui che aveva fatto l’accademia e che aveva interiorizzato la disciplina e l’onore delle armi. Poi quell’onore gli era stato sottratto dalla ritirata di Russia, dallo strazio di lasciare i suoi soldati moribondi nel gelo. Proprio durante quella disastrosa ritirata aveva riconosciuto che i suoi soldati, per lo più contadini, lo avevano salvato dalla morte con le antiche sapienze di sopravvivenza. E forse ha sentito verso di loro un debito di riconoscenza e ha deciso di dedicare loro il suo lavoro di ricerca, portando la loro esperienza, il loro sentire, il loro mondo chiuso e circoscritto all’interno della storia.
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