Associazione Davide Lajolo Odv

Saggi

11/10/2025

Assalto ai Boschi del Monferrato

di Maria Luisa Mosele - 5° posto Premio letterario Parole in collina 2025

Assalto ai Boschi del Monferrato

Tornava sempre al suo paese, a Vinchio, Davide Lajolo.
«Vinchio è il mio nido», scriveva.
Lì tutto sapeva di buono, l'aria bruciava di freschezza nei polmoni.
Una terra lontana dal mare, che sembrava però richiamarlo nell'ondeggiare delle sue colline verdi. Era quello, per Davide, il mare, il “mare verde”, nel quale confondersi per allargare lo sguardo sull'infilata di vigne ordinate, sentire il profumo dei boschi di castagno, ascoltare il lamento rauco del cuculo.
Il giorno in cui arrivò la notizia camminava lungo il sentiero diretto al bricco dei Saraceni.

Il bricco dove da bambino aveva scoperto, per la prima volta, il suo “mare verde”, che rimase per sempre dentro di lui, anche quando la vita lo porto altrove.
Era un caldo pomeriggio d’agosto del 1974, la terra sonnolenta, avvolta nel silenzio, sembrava incantata; respirava, come sospesa, in uno spazio magico d’armonia e bellezza.
Febo e Socrate, con la lingua a penzoloni, lo precedevano, fermandosi, a tratti, ad aspettarlo. Avanzavano scodinzolando, ma senza abbaiare, come se fossero in ascolto del rumore sordo di quella quiete che li circondava. Forse sentivano palpitare la natura intorno a loro.
Davide si fermé, raccolse una zolla e l’annusò. I ricordi, come matrioske, stavano uno dentro I'altro e affollavano la mente.
I contadini, con la zappa in spalla, i volti scavati, muti, sguardo basso, sfilarono davanti a lui in un nitido fotogramma.
Suo padre, chino sotto il sole cocente, s'alzava, s'asciugava la fronte madida di sudore, mentre con la mano accennava un segno di saluto.

Chiuse gli occhi e cercò di trattenere più aria possibile, come per conservare dentro di sé quel luogo dell’anima. In quell’istante sentì l’odore del pane fresco che, da bambino, portava a casa con la “cavagna” sulle spalle; sulla retina la figura di Uanin, il fornaio, mentre apriva la porta del forno.
Riprese il cammino e nella testa quelle parole appiccicate come resina: «Tu che scrivi e conti qualcosa... dimmi se ti pare giusto...». Così Batistin, sbucato all’improvviso da uno dei filari della vigna, gli aveva parlato dell’americano con i capelli rossi e l’occhio furbo. Aveva smesso di sradicare l’erba da sotto le viti, si era drizzato e lo guardava negli occhi: «Sono un contadino e voglio restarlo. La mia terra non la vendo, punto».
Quando Davide raggiunse il bosco di castagni, decise di sedersi ai piedi dell’albero più maestoso. Gli sembrava cupo. Lo accarezzò, posò la schiena e la nuca sul suo tronco. 1 cani, sdraiati accanto a lui, parevano apprezzare quel momento di sosta.
Un fruscio, qualcosa si mosse tra gli alberi, sobbalzo, come quando si nascondeva tra i canneti per non cadere nelle mani dei fascisti. E gli apparve, vivo nella memoria, il cadavere di Gino, avvolto in una coperta.
«Caccia grossa! Ho beccato quel bastardo di partigiano...» aveva esultato il capitano, battendosi il petto sulla camicia nera dalla parte del cuore. Gino, lo studente patriota, dallo sguardo brillante, aveva il volto bianco, con le pupille spente, abbandonate dalla vita. Chiazze di sangue decoravano di rosso il suo corpo. L'avevano buttato su un autocarro come un sacco d’immondizia.
11 sole, nella luce morbida di fine pomeriggio, filtrava tenue, I'aria profumata penetrava attraverso I'intrico di rami protesi, come braccia, imploranti aiuto.
«Ti abbiamo accolto, sempre. E ora, che ne sara di noi?». Ora lui sapeva. Era un giornalista e scrittore, un ex deputato, un uomo famoso, ma Batistin e tutti gli altri contadini lo avevano sempre considerato uno di loro.

Batistin portava per soprannome proprio quello della Sermassa, perché aveva trascorso la sua vita tra quelle piante e desiderava morire lì, dov’era nato e vissuto. Ma l’americano intendeva comprarle per farne un villaggio turistico. Su quel territorio stava per abbattersi la lunga mano d’acciaio della speculazione edilizia. Volevano costruire alberghi, piscine, campi da tennis... Questo significava distruggere gli alberi gialli in autunno e verdi d’estate, le vigne vestite di tralci e di foglie, le primule e i mughetti arrampicati sulle pendici dei boschi, le bianche gaggie, i fiordalisi blu, i trifogli azzurri, i papaveri rossi... Un unico colore, il grigio del cemento, al posto del verde, del bianco, del rosso, dell’azzurro, del blu e delle mille altre sfumature, che riempivano quell’angolo di mondo, chiuso tra le colline, come un gioiello.
Davide pensò a quand’era bambino, alla sua casa contadina con il camino, dove, a volte, all’improvviso, s’intrufolava qualche gufo affamato, per trovare cibo e poi, il tempo d'un battito di ciglia, volava via.
Immaginò la valle invasa dal chiacchiericcio di gente sconosciuta, da rumori assordanti, da musica ad alto volume... e la fine del canto degli uccelli. Immaginò gufi, civette, merli, verdoni, cuculi, suoi compagni d'infanzia, senza un rifugio.
Senti la gola chiudersi.
Le sue radici stavano lì, in quella terra. Gli odori, i sapori, i suoni di quel luogo erano parte di lui. Questo paese, pensava, m’appartiene e io appartengo a lui.
Fu preso da uno strano tremore, i pugni chiusi e stretti, le unghie conficcate nella carne, venne assalito da una rabbia cieca, assoluta, incontenibile.

In paese non si parlava d’altro.
«Io ormai nel bosco vado solo a cercare i funghi. Sono troppo vecchio per spaccarmi la schiena. Mio figlio lavora alla FIAT. Un po’ di soldi mi fanno comodo».

«Hai ragione, in fondo, cosi, qui si ripopola e daranno lavoro ai nostri figli, che non hanno voglia di coltivare la terra».
«Ma che dite?» ribatteva Vigiu, che aveva lavorato in America. 11 cappello in mano, le calze di lana spessa rivoltate sulle scarpe consunte: «Guardate me. Cosa ci ho guadagnato? Poco o niente e mi sono pu:e ammalato, in America. Non fidatevi...».
«Ma qui non c'è più niente. Neppure il medico, la farmacia, un pronto soccorso, niente. I comuni non hanno soldi e il nostro sindaco dovrebbe accettare».
11 procuratore della società americana interessata all’affare, l’‘americano”, aveva già dato una modesta caparra ai coltivatori intenzionati a vendere. Pagati come agricoli, ' quei terreni acquistavano un valore molto più alto come aree fabbricabili.
Davide scrisse articoli, contattò personalità autorevoli, uomini politici e lanciò un appello all’amico scrittore Giorgio Bassani, presidente di Italia Nostra. Non voleva arrendersi all’idea che potesse vincere la logica del profitto, contro il bene comune. Non era certo nell'interesse dei contadini distruggere I'agricoltura, la qualita dei prodotti, la fisionomia del territorio. i Bassani accolse l’appello, molti applaudirono alle sue parole, tante furono le promesse, ma gli speculatori avevano ormai opzionato una vasta zona, una superficie di oltre 150 ettari. L’americano aveva gia preso accordi con le autorita di Provincia e Regione.
Cosi si vociferava. Tutto sembrava precipitare.
Del resto, cosa contavano dei poveri contadini? Forse era davvero arrivato il tempo del tramonto per la civilta rurale.
Ma come poteva morire quel legame antico e profondo che faceva dire a Batistin: «lo sono un contadino e voglio restarlo»?
No, non era giusto, ma stava accadeudu e Davide si sentiva sconfitto.

In quei giorni, sempre più spesso, saliva fin sopra alla cima della collina, dove, da oltre cento anni, viveva un vecchio rovere. Lì iniziava il suo “mare verde”. Li si ritrovava a pensare che anche il sole, quando illumina la campagna, è diverso da quello splendente sul mare.

Una terra unica e l’americano vuole rubarla per deturparla... Man mano che quest’idea prendeva forma nella sua mente, sentiva una fitta colpirlo, alla bocca dello stomaco, come se qualcuno gli avesse sferrato un pugno forte, molto forte... Ma doveva rassegnarsi. Non c’era altro da fare. Come succede quando un amore finisce. Finisce e basta.
Intanto i giorni passavano. Il sole settembrino avvampava per lacerare le nuvole, come se non volesse cedere il passo al tepore autunnale. Davide doveva rientrare a Milano, al giornale. La sua vita era là. Perd rimandava ogni giorno la partenza. Troppo struggente il distacco.
Infine decise, ma prima voleva dare un ultimo saluto alla “Ru”.
La “Ru”, la vecchia signora, una quercia enorme e placida, che da un numero incalcolabile di secoli proteggeva gli uomini nati e cresciuti sotto la sua ombra.
Fermo ai suoi piedi, Davide l’ammirava, come quand’era bambino e, ancora come allora, il cuore martellava nel petto, tanto veloce che pareva volesse uscire fuori per abbracciarla. I bagagli erano pronti, quello era l’ultimo giorno a Vinchio. Almeno, questo pensava con il naso all’insù davanti a lei e chissà, forse, la “Ru” o forse qualche altra creatura misteriosa abitante dei boschi, sentì il suo dolore e cambiò il corso degli eventi. Ma lui non poteva saperlo.

Quella notte un vento freddo ululò nella valle. Le raffiche furiose si scagliavano contro le case, sferzavano le finestre, scuotevano i rami degli alberi. Il cielo gonfio di pesanti nuvole nere, illuminato da lampi violenti, seguiti da scoppi di tuoni rabbiosi. I contadini, colti di soprassalto nel sonno profondo, dopo una giornata di fatica, con gli

occhi incollati alle finestre, furono costretti ad assistere impotenti alla fine della loro unica fonte di vita.
Era ancora lei, la “malora”, un’altra volta.
Chicchi grossi come noci piombarono al suolo rapidi, parevano sassi lanciati con forza.
In pochi minuti un tappeto di biglie ghiacciate copri la terra. Dopo più nulla, la grandine cesso, torno il silenzio nella valle. Soltanto una breve parentesi nel tranquillo scorrere del tempo e nulla più. Le ore, i giorni, le settimane avrebbero cancellato i segni di quella sciagura. Ma i segni nell'animo degli uomini no, quelli gia stavano scavando dentro di loro. Lo sgomento dipinto sui volti ne era testimonianza.

Le viti, nude, corpi esanimi spezzati a meta: senza foglie, senza uva, madri senza figli. I grappoli, strappati dai tralci, giacevano nel fango in mezzo alla grandine.
«Mio Dio...» sussurrd Batistin con un filo di voce, mentre le mani, quasi fossero autonome, si posarono sul viso rugoso per impedirgli di vedere oltre quello scempio.
Non sapeva dell'olmo squarciato. Grande e possente, era caduto come un vecchio stanco sul sentiero.
Davide, immobile, osservava quell’albero ferito, rifugio di tante scorribande infantili.
La sorte della sua gente era lì davanti a lui. La natura gli mostrava ciò che stava per accadere. La grandine aveva distrutto tutto, vanificato il lavoro di un anno, ma le vigne erano ancora lì.
Le immagino a primavera vestite di nuovi colori. Vide I'olmo rinascere, con altri rami verdi, e I'erba spuntare nei prati, insieme a migliaia di timide margherite.
Pensò che la vita, ancora una volta, avrebbe vinto sulla morte.
Invece l'americano voleva cancellare la vita per sempre.
Doveva fermarlo. Come aveva potuto pensare di arrendersi? Non andò a Milano. Rimase per lottare con la sua gente.
Interpellò il sindaco di Vinchio, i sindaci degli altri paesi

limitrofi, parlò con le persone.
Di fronte alla distruzione, tutti si erano sentiti incatenati a quella terra, che era sangue del loro sangue. Senza di lei non esistevano. Non volevano fare i camerieri o i manovali, perché erano coltivatori nell'anima e non potevano cedere un pezzo della loro anima. Non potevano, come non poteva Batistin, come non poteva Rosetta, la moglie di Davide. Quel paesaggio testimoniava la loro storia, e la storia dei loro avi, tramandata di generazione in generazione. Nei secoli il territorio era stato plasmato dal lavoro paziente di uomini e donne, come loro, che lì avevano le radici, proprio come I'olmo, come il rovere, come la “Ru”.
Destini umani intrecciati da sempre alla natura. Un legame indissolubile. E quel legame profondo li rendeva forti, capaci di resistere al dolore, capaci di ricominciare, capaci di difendere la loro terra.

Segui una mobilitazione generale.
Grazie alla contestazione della popolazione, il sindaco di Vinchio si fece promotore della lotta contro la speculazione e gli altri sindaci si unirono a lui. Gli Enti competenti si arresero, preoccupati dalla forza della collettivita, che era come una valanga inarrestabile. La strada non era più cosi spianata come appariva all'inizio, I'esito dell’affare era a rischio, per cui la società americana preferi ritirarsi. La procedura per le autorizzazioni si fermo, i terreni opzionati rimasero di proprieta dei contadini.
Vinchio era salva, la valle era salva.
1 cuore della comunità poteva continuare a pulsare nel verde della campagna, nel “mare verde” di Davide Lajolo.


“Assalto ai boschi del Monferrato” è tratto dall’antologia “Gente del Monferrato”, tema scelto per il Premio letterario Parole in collina 2025, promosso da Neos edizioni. Il concorso si inserisce all’interno del progetto culturale dedicato alla valorizzazione del territorio monferrino. 1 racconti vincitori e finalisti, pubblicati nell’antologia, narrano di donne e uomini che con la loro vita hanno lasciato un segno tra le colline del Monferrato. Davide Lajolo con il suo “mare verde” di Vinchio non poteva mancare.

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